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Prima domenica con la finestra chiusa e il ricordo dell'ultimo gesto senza parole di sette giorni fa. Anche la voce affaticata non ricade ormai sulla folla. Dopo la liturgia degli addii, piazza San Pietro tornerà ad accogliere curiosi che frugano le pietre del passato. Wojtyla, futuro dei credenti, torna a casa. Aprile sarà un mese senza onde di pellegrini e corriere che si allungano per chilometri attorno ai ponti del Tevere nell'allegria di un anno santo ripetuto ogni settimana. Cineprese che cercano la finestra, colori, preghiere, bandiere, bambini sulle spalle, carrozze dai cavalli sfiniti, taxisti che impazziscono. Comincia il lungo intervallo. Roma senza Papa diventa un'altra città. La cronaca che sta per cominciare ricorda la primavera 1981, dopo gli spari di Ali Agca. Lo scrittore Guido Morselli aveva immaginato nel suo romanzo il trono di Pietro vuoto. Il titolo annunciava il titolo di oggi - Roma senza Papa - perché nella fantasia del narratore il Papa era fuggito altrove, e la macchina che nutriva la burocrazia della fede aveva abbandonato i sacri palazzi per rifugiarsi dietro i cristalli di un motel. Cristalli e ascensori d'acciaio simili all'ospedale Gemelli dove la convalescenza di Giovanni Paolo II sembrava non finire mai. Un mese, due mesi, tre mesi nella camera all'ultimo piano; domeniche di piazza San Pietro deserte. Quando resiste Roma senza Papa? avevo chiesto a Nicolini, in quegli anni assessore alla cultura: Non tanto, speriamo torni presto. Adesso torna, ma é un altro Papa. Le parole del rimpianto e i dossier che raccolgono la storia di Giovanni Paolo II stanno per finire. Ne hanno celebrato la morte quando era vivo, cosa dire di più se non ripristinare il gioco pettegolo sul nome del successore spiando i pensieri dei cardinali che cominciano a cercare Giovanni Paolo III? Ogni angolo della vita di Wojtyla, ogni immagine, ogni parola sono disperse nelle edicole: è stato detto e scritto quasi tutto, ma non tutto sulla storia di un pontefice che ha vinto una sola battaglia contribuendo alla frana del comunismo, purtroppo perdendo quasi tutte le altre. Si era illuso di sfidare i poteri che governano il mondo invocando dignità e pace per ogni essere umano. Lo hanno ascoltato quando la convenienza dell'economia voleva liberarsi di un avversario ormai in declino, eppure ancora fastidioso. La spiritualità del Papa polacco serviva a coprire armi e scudi spaziali che Reagan stava spendendo per inginocchiare Mosca. E la democrazia torna a Varsavia. Cadono i muri, si scioglie l'impero dei soviet e fra le rovine vengono alla luce gli orrori. Per fermare Wojtyla provano ad ucciderlo, ma il Papa che cade e rinasce dà la spallata decisiva. L'Europa cambia faccia: gli deve tanto. Smontata l'oppressione che lo aveva perseguitato, Giovanni Paolo II alza gli occhi verso il resto del mondo. Primo, secondo, terzo, quarto mondo. Troppi. Non ne sopporta le ingiustizie e riparte per la seconda battaglia nella convinzione di sradicare altre tirannie, fame e disintegrazione sociale, soprattutto le guerre. Cominciano le delusioni. Se il suo impegno morale aveva smontato le dottrine dei gulag, gli è proibito coniugare il regno di Dio col regno di Wall Street per evitare che il denaro diventi l'unico problema quotidiano di chi moltiplica il denaro allargando la disoccupazione, trascurando la fame per spingere sulle strade dell'emigrazione intere regioni. Ma il Papa scopre un altro muro, più ambiguo, quindi più difficile di quello rosso. Dietro i sorrisi di comprensione gli si fa capire l'impossibilità di fermare globalizzazione e liberismo, soprattutto far sparire un'altra parola che il Pontefice non sopporta: desaparecidos, chi sparisce perché pretende dignità sociale. Ecco le delusioni, il lungo elenco dei no. Attorno alle spoglie di Giovanni Paolo II sono queste le ore della commozione con i protagonisti del no che cercano di annebbiare l'ostilità con la quale hanno contrastato le invocazioni del Papa. Il presidente Bush sta pregando per Giovanni Paolo II, ma Bush governatore del Texas non ha mai risposto all'appello del Vaticano quando chiedeva di non bruciare ragazzi malati di mente, o adolescenti pentiti. Il Bush della Casa Bianca ha fatto finta di non sentire la voce del Papa che si illudeva di fermare la guerra preventiva e l'invasione dell'Iraq. Mandava ambasciatori, spediva lettere segrete, invocava e si umiliava alla finestra. Silenzio. Adesso Bush prega. Visitando l'Avana, Giovanni Paolo II aveva sperato che il dialogo con Castro aprisse alla chiesa la libertà di un'informazione indispensabile a far crescere l'impegno morale distogliendo i cubani dall'apatia del consumismo respirato fra le abitudini dei nostri vacanzieri. Risultati modesti; sette anni dopo non è cambiato gran che. Per capire: l'anno scorso muore il giovane vescovo della capitale, ma giornali e Tv non ne hanno dato notizia. La chiesa resta tabù. Eppure Perez Roque, cancelliere di Castro, ha ieri proclamato tre giorni di lutto nazionale, dolore di stato per la scomparsa del Papa. Che senso ha? E che spiegazione dare alle facce addolorate dei politici di Roma raccolti con le lacrime sul ciglio davanti alle spoglie del Pontefice. Solo l'emozione di Ciampi appare sincera. Berlusconi recita uno strazio immaginario, Calderoni fa sapere d'aver pianto, Fini ricorda Giovanni Paolo II come compagno di viaggio nella ricerca della pace. Ma sono gli uomini di governo che hanno sostenuto la guerra con l'ipocrisia di chi un po' si vergogna e gioca sugli aiuti umanitari; politici che hanno accolto il Papa a Montecitorio dove le due camere erano riunite per ascoltarne le parole. Wojtyla aveva chiesto una sola cosa: l'amnistia per i reclusi per reati minori. Le carceri scoppiano. I processi non arrivano mai. Perché incattivire il disagio? Offrire la possibilità di redenzione voleva dire ridare fiducia a uomini e donne che è possibile recuperare. Applausi. Ancora sorrisi. Il presidente Berlusconi lo accompagna esibendo familiarità da fratello di fede. Allarga le mani come un sovrano: invocazione accolta. Il vice presidente Fini parla di avvenimento storico. Ma i conti della politica vivono equilibri meno nobili dell'ottimismo del Papa. La Lega non molla sul pugno di ferro. Per una volta tanto perfino Gasparri è d'accordo. E l'indulto diventa indultino, rimpicciolito, ma qualcosa si farà: non se ne fa niente. I no a Wojtyla piovono anche da Israele: Gerusalemme città aperta alle tre religioni? Non se ne parla. Chiesa della natività assediata, buldozer che sbriciolano case palestinesi e quel muro - un altro muro - che Wojtyla non vuol vedere. La pioggia dei no continua. Un pontificato così lungo non sfugge agli errori. Se ne parlerà e tanto quando avremo un nuovo Papa. Il primo, fondamentale, è l'aver dimenticato il continente latino dove è raccolto il maggior numero di cattolici del mondo. Erano gli anni dedicati a liberare la sua Polonia. Guarda solo lì lasciando alle diplomazie vaticane il compito di correggere la logorrea dei figli del Concilio Vaticano II: quell'orribile teologia della liberazione che aveva moltiplicato i catechisti nelle favelas e nelle campagne, e rigenerato la speranza nei giovani preti di paesi dove strategie lontane organizzavano dittature e squadre della morte. Alcuni vescovi stavano tentando di trasformare la rabbia degli oppressi in una testimonianza pacifica da organizzare attorno ad una fede impegnata a contenere lo scandalo delle ingiustizie. Quel Vaticano anni 80 li ha oscurati considerandoli protagonisti pericolosamente in bilico sulla frontiera che divide il mondo libero e cristiano, dall'ateismo del comunismo ribellista. E li ha condannati all'abbandono. Abbandonato il vescovo Romero ucciso in Salvador: Giovanni Paolo II lo ha incontrato un solo minuto per la foto ricordo. Sapeva degli appelli disperati che Romero aveva spedito? Una foto non è bastata a salvarlo. Abbandonato il successore, Rivera Damas: per due anni gli si è fatto sospirare il titolo di primate della chiesa salvadoregna mantenendolo nel non potere dell'amministratore apostolico. Quindi bersaglio delle destre furibonde. Amministratore apostolico è il compromesso dei paesi dove il silenzio è obbligato e la clandestinità requisito della sopravvivenza. In Cina, per esempio. Ma nel Salvador sacerdoti e suore predicavano in pubblico per non abbandonare i senza niente minacciati dalle grandi famiglie infastidite da un vescovo «non dignitoso». Sono morti dodici religiosi, quattro gesuiti e Romero, vittime inutili perché nelle abitudini delle preghiere italiane la chiesa del silenzio restava solo polacca. Senza parlare della necrologia-ricordo dove Romero viene ridotto a zelante pastore: si dice di un parroco che si spegne nel suo letto tranquillo nella campagna d'Abruzzo. Il conservatorismo della burocrazia vaticana non sopportava chi ne ricordava il sacrificio. Pedro Casaldaliga, vescovo catalano di Sao Felix do Xingu, Mato Grosso, è stato processato per tre giorni dal cardinale Ratzinger per aver esposto all'ingresso della sua piccola cattedrale, un ritratto di Romero con la scritta santo del popolo americano. E mentre monsignor Samuel Ruiz, vescovo di San Cristobal, Chiapas messicano, era asserragliato nella chiesa assediata da latifondisti scatenati contro il pastore che rifiutava l'ospitalità delle loro dimore per andare a dormire nelle baracche degli indios diseredati, a Città del Messico il nunzio apostolico monsignor Prigione, condannava con parole di fuoco l' avventurismo del vescovo. E aggiungeva sibillino: fra un po' compie 75 anni e se Dio vuole non starà al suo posto un minuto di più. Parole profetiche. Via Ruiz, l'ausiliare monsignor Vera che aveva condiviso l'esperienza di don Samuel, ne assume la carica, ma dura pochi mesi: subito trasferito nel deserto al confine con gli Stati Uniti. Pare che Giovanni Paolo II fosse male informato sulle decisioni di un establishement le cui pieghe era impossibile controllare. Riceveva informazioni vaghe e indolori anche perché nascondevano decisioni contrarie all'impegno profetico che lui distribuiva, con la sofferenza dell'infermo, nei paesi più lontani del mondo. Ma il risultato del disastro non cambia: il solco tra chiesa cattolica e popolazioni si é allargato aprendo un baratro dentro il quale si moltiplicano le sette protestanti della destra religiosa nordamericana, finanziate dalla dottrina Rockfeller e protette nell'ombra dai poteri forti dei paesi deboli. Bush ne è il nuovo profeta. Fra i cattolici latini domina l'Opus Dei, ma non riguarda le folle della fame. Crescono i Legionari di Cristo, la cui intransigenza fa impallidire i borghesi Opus. La gente qualsiasi resta sempre più sola. Nei giorni del dolore mentre ognuno si ritaglia un Papa di comodo, il rimpianto più commovente è la malinconia dell'Abbé Pierre: Nessuno come Giovanni Paolo II si è prodigato per contestare le ipocrisie e con passione predicare la giustizia sociale, soprattutto la pace. Sono contento di aver pregato assieme a un Papa così. Maurizio Chierici L'UNITA' 04/04/2005 |
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