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Chi ha paura di Lula?

Lula viene da una vita difficile eppure le ultime settimane lo stanno angosciando più della prigione sofferta durante la dittatura militare. Allora era un sindacalista giovane, lunga barba nera. Poteva ricominciare. Da dove ricomincia un presidente costretto a licenziare il ministro che ha ispirato e nutrito la sua rivoluzione sociale? L'accusa di corruzione è marchio dissacrante per il movimento operaio da vent'anni impegnato a pretendere la trasparenza dei politici. Adesso deve fare pulizia in casa e all'improvviso scopre cosa c'è sotto l'idillio coi poteri forti che da sempre governano il Paese. Rovesciando un'ostilità martellante - emarginazione e sberleffi - la buona società del dollaro aveva accolto la sua vittoria con l'aria di chi ringrazia il bagnino che sta salvando i passeggeri di una barca alla deriva. Perché Lula riempiva un vuoto nel momento in cui conti e inflazione andavano male.
Dopo le privatizzazioni selvagge di Cardoso, presidente della destra, serviva un traghettatore provvisorio.


Negli ultimi anni di Cardoso il 20 per cento del prodotto nazionale lordo aveva cambiato mano. Un terremoto. Nuove holding cominciavano a governare strutture pubbliche indispensabili alla vita quotidiana: trasporti, telefoni, elettricità, acqua, industrie militari gestite nel nome di un liberismo che non prevede prezzi equi, stipendi decenti e tenerezze sociali nel paese con 45 milioni di persone che soffrono la fame. Rodaggio complicato. Serviva un protagonista dalla storia credibile in grado di tenere a bada i disperati con promesse da rimandare al futuro. Una faccia di fiducia da esibire provvisoriamente ad investitori lontani, banche straniere e Fondo Monetario mentre l'economia mondiale snervava i Paesi indebitati dalla speculazione finanziaria colonizzata. Sono passati mille giorni, Lula ha funzionato. Continua a rivelarsi utile alla macroeconomia ma deve essere isolato dai compagni rimasti fedeli ai programmi di ogni sinistra. Più cattolica che marxista, vista l'influenza esercitata da Paulo Freire su Lula e il movimento operaio, e i contadini senza terra. Freire ha scritto il saggio simbolo di un Brasile che trent'anni fa non sopportava l'oligarchia e scopriva il dramma degli ultimi. «Pedagogia degli oppressi», pubblicato da Feltrinelli, spiega come combattere l'analfabetismo nei gironi delle baracche: «Favelas è la prima parola che devono imparare a leggere e a scrivere, perché favela è la cattedrale che segna il loro destino». José Dirceu era l'anima politica di questo impegno. Bersaglio da eliminare, mentre Lula doveva restare al suo posto per proteggere un'economia che corre e le esportazioni che volano. Fuori i suggeritori, Lula non si tocca: ecco il meccanismo del golpe bianco annunciato da mesi. Lula dimezzato, al suo posto, ma senza la forza di impedire che le piantagioni di soia mangino l'Amazzonia e mani legate sulle riforme promesse. Un simbolo da svuotare lentamente fino alle prossime elezioni. «La Folha» di San Paolo comincia a mettere in dubbio che abbia voglia di ricandidarsi e fa balenare inchieste sconfortanti. Se si votasse oggi sarebbe ancora il più votato al primo turno, ma non ce la farebbe al secondo, battuto proprio da quel José Serra che Cardoso aveva appoggiato contro Lula designandolo successore per completare la pianificazione dell'economia privatizzata. Fra sedici mesi cosa succederà? Serra ha l'aria di un paravento dietro al quale forse si nasconde lo stesso Cardoso, portabandiera delle grandi famiglie. Ogni Tv, ogni giornale, sarebbero ai suoi piedi. Bisogna pur cominciare; hanno cominciato senza fare i conti con la determinazione di un metalmeccanico che sa stringere i denti e richiamare ad un impegno comune gli amici scontenti: dai politici di professione a sindacalisti, movimenti e chiesa di base.


Con qualche problema, anche fuori Brasile. Il confronto con l'amministrazione Bush è formalmente cordiale: rappresenta la disponibilità al dialogo senza dogmi che è la novità della nuova sinistra latina. Lula fa il pompiere con Chavez e condanna segretamente gli eccessi di un Castro che sta invecchiando. Immagina un mondo più largo di quello che la Banca Mondiale disegna da un bollettino all'altro. Assieme a Cina, India e Sudafrica è impegnato a tessere un'alleanza della quale i baroni delle economie tradizionali devono tenere conto. Vuole ridiscutere le regole dell'Alca, mercato comune dei due continenti: troppo Usacentrico, tutti i vantaggi a Washington, padrona del mercato. Lula ha guidato la rivolta burocratica anti Bush rispettando le regole educate della democrazia: voleva imporre un presidente messicano all'Oea, organizzazione degli stati americani. Invece Insulza, il cileno trainato da Lula, sta governando l'assemblea dei due continenti. E la signora Rice non ha nascosto la delusione. Ecco che mentre la corruzione indebolisce il governo brasiliano, Bush annuncia di non volere il Brasile nel Consiglio di Sicurezza Onu. Coincidenza straordinaria. Gli Stati Uniti non nascondono il fastidio col quale i loro neocon seguono l'evoluzione delle aperture di Lula. Una sinistra moderata alla guida di un Paese-continente diventa punto di riferimento pericoloso: può mediare tra il populismo del petrolio venezuelano e il peronismo ragionato dell'Argentina che si risveglia. Senza contare che nel 2006 anche il Messico potrebbe cambiare mano proponendo la stessa indipendenza sulla porta di casa. Eppure Lula deve restare dov'è, lo pretendono le banche e gli investitori Usa. La sua concretezza tranquillizza gli affari. Nella strategia americana, il Brasile ha preso il posto dell'Argentina come Paese di riferimento. Immenso, strutture tecniche e militari sofisticate, confina con nazioni che è bene tenere d'occhio: Venezuela, Colombia, Bolivia, Paraguay, Uruguay, la stessa Argentina. Aspettando Cardoso o la sua controfigura, il presidente di oggi, opportunamente pastorizzato, resta l'interlocutore ideale dentro e fuori il Brasile. Calcolo di un laboratorio economico-politico che non tiene conto del carattere di Lula. E poi sarà la gente a scegliere Lula o i giochi del potere. Francisco de Oliveira, grande sociologo che con Lula e Dirceu ha fondato il Pt, non nasconde la delusione che l'ha spinto a lasciare il partito. Agita una paura che coinvolge l'intero continente: «Se il Pt non rielegge il suo presidente, il primo movimento strutturato democraticamente che mai abbia governato l'America Latina, finisce in niente e per anni la sinistra resterà un fantasma. Ma i fantasmi gelano ogni speranza; i nostri popoli malediranno l'occasione perduta». Mancano sedici mesi, chissà.


Maurizio Chierici – L'UNITA' – 20/06/2005




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