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Una Repubblica fondata sul silenzio

È imbarazzante prendere lezioni di trasparenza dal Brasile, è un problema che si aggiunge ai problemi: il presidente Lula ha annullato il segreto di Stato sugli anni del regime militare. Fra qualche settimana, dall’altra parte del mare, tutti sapranno tutto di tutti. Non solo delitti, rapimenti, torture, anche le informazioni nascoste su chi appoggiava o faceva affari coi notabili in divisa. Giri di banche, capitali che apparivano e sparivano, operazioni segrete, concessioni Tv. L'impero Marinho - Rede Globo- comincia a preoccuparsi. Parliamo del Brasile, non della Danimarca. È il Paese che raccontiamo con calcio, bossa nova e carnevale. Forse è il momento di ripensare ai nostri silenzi, altrimenti calcio e carnevale siamo noi. Noi, Paese delle ombre. Più o meno 500 miliardi di euro ombra nascosti da mani ombra in affettuose banche straniere.

Analisi 2001 appena corretta dal lasciapassare berlusconiano che permette il rientro di capitali furtivi. Senza chiedere: ma dove vi siete nascosti? Qualche euro di multa, nessuna domanda. Ma i capitali non si fidano. Rientrano col contagocce, soldi dei palazzinari che fanno impazzire il mercato di chi cerca casa. Ecco la risposta italiana alla chiarezza brasiliana.

Non basta per David Lane dell'Economist. Al Cavaliere ha dedicato un libro inutilmente querelato: “L'ombra del potere”, appunto. Antologia dei conti ombra degli amici del Cavaliere che i magistrati inseguono con la pazienza di chi deve aprire una galassia di scatole cinesi, eppure non si arrende, e il Cavaliere va sulle furie. In questi giorni qualche Tg dovrebbe fare il ripasso. Numeri che scorrono come epigrafi sulle facce degli scioperanti la cui paga non basta alla fine del mese. Ma le ombre non fanno girare soltanto capitali. Gli orribili protagonisti del terrorismo maneggiano strumenti più devastanti del portare fuori il malloppo ed obbligare all'emigrazione, o all'amarezza della protesta, milioni di tasche vuote. Per fortuna a Palazzo Chigi c'è il Presidente Sceriffo. Il suo nome spaventa i fuorilegge da quando ha catturato 200 ricercati da ogni le polizia del mondo ma con la riservatezza di chi custodisce i segreti di stato, non fa sapere dove li ha messi sotto chiave. Forse nel sacrario sotterraneo della villa di Arcore, opera monumentale di Pietro Cascella, scultore che ha ammobiliato l'eternità del primo ministro. Se sono lì, fa bene a tacere.

Ultimi misteri della settimana, gli altri restano sepolti nel silenzio prediletto dalle famiglie mediterranee: non detti di stato, nascosti nei sussurri dell'alta burocrazia politica. Parla per non dire; tranquillizza per nascondere, indaga per non cercare.. Soprattutto fa capire che è meglio non sapere. Perché - perché, davvero - il ministro Castelli si arruola come gregario fra le ombre Usa per fermare l'inchiesta sull'iman rapito a casa nostra e portato come un pacco ad Aviano dove comincia il girotondo degli aerei senza nome che lo trascinano nel lager prestato dall' Egitto agli americani così bravi nel fare domande con mano robusta ? Perché si impedisce al pm Spataro di ascoltare gli strani diplomatici di Washington scesi in Italia per organizzare il rapimento e poi svanire, chissà con quale nome, sottraendo un signore sospettato di terrorismo ad intercettazioni, pedinamenti, confronti che da mesi impegnavano la magistratura milanese?

Temevano facesse sapere qualcosa di compromettente? Il “no” supponente di Castelli somiglia al “no” del lontano ministro degli esteri Martino (padre) nei primi anni del dopoguerra. Consigliava di nascondere negli armadi dell'ospedale militare Celio, documenti con nomi e imprese di nazisti responsabili dei massacri. Dalla piazza Loreto degli ostaggi incolpevoli appesi dieci mesi prima allo stesso gancio di Mussolini, a Sant'Anna di Stazzema e a una catena di delitti ordinati da ufficiali ignoti ma che era facile smascherare aprendo carte a portata di mano. Solo adesso, per caso, sappiamo nomi e gradi quando ormai morte e vecchiaia annacquano le responsabilità. Cinquant'anni fa Martino (padre) si preoccupava di non infangare il buon nome della Germania nel momento in cui stava per aderire alla Nato: sacrifica alle convenienze internazionali la giustizia invocata dai sopravissuti. Era un signore affabile. È bene che il suo sorriso venga ricordato alla storia anche per questo silenzio. Nuovi misteri continuano le tradizioni di famiglia: Antonio Martino (figlio) ministro della difesa, non se l'è sentita di andare in Parlamento a spiegare cosa sapeva e quale tipo di indagini aveva ordinato sul fosforo bianco di Falluja.

Forse preoccupato che la curiosità si allargasse ad altre curiosità magari alle granate e ai proiettili al fosforo comprati per armare i nostri ragazzi a Nassirya e in Afghanistan. Povero ministro, gliene serviva il doppio: maledetti bilanci tagliati.

Spiegano i depliant dei mercanti di cannoni che il fosforo bianco è un prodotto consigliato. Le schegge infuocate dei proiettili diventano sanguisughe sulla pelle del nemico. Impossibile staccarle. Bruciano per un tempo interminabile. Il deplianti non parla mai di morte ma garantisce che il nemico, e chi gli sta attorno, vengono implacabilmente messi fuori uso.

Polveri proibite da convenzioni internazionali e dall' antiterrorismo Usa dopo l'11 settembre. Ma un ministro della difesa non può dar retta alle voci dell'opposizione mentre è impegnato a salvare la patria.
Segreti in coda alla catena interminabile dei segreti protetti da segreti di stato. Elenco che non rassicura... Altro esempio: se a poco a poco lo scavo di familiari e giornalisti - come Andrea Purgatori - hanno ricostruito le tessere nascoste del mosaico, nessuna autorità fa sapere quale bandiera sventolava l'aereo che ha sparato il missile contro il volo passeggeri abbattuto a Ustica. Da venticinque anni le bocche ufficiali continuano a non dire verità che conosco bene, verità raccolte da radar i cui tracciati sono svaniti e da operatori militari che hanno stranamente scelto il suicidio mentre le alte uniformi giuravano il falso in Tv e davanti alle commissioni d'inchiesta, seppellendo nella fatalità i passeggeri morti e il fallimento della povera Itavia, compagnia alla cui incuria si è attribuita la tragedia.

Nei paesi normali il soldato che tradisce viene degradato sul campo, ma quando generali e colonnelli italiani imbrogliano per coprire il censo di colpevoli speciali, non succede niente. Nessuno li degrada. Non tornano soldati semplici: vanno in pensioni con l'assegno rotondo di chi ha compiuto fino in fondo il proprio dovere. Riaffiora la strategia del lasciare invecchiare i crimini sperando che la gente cominci a dimenticare. Cinquant'anni dopo i nazisti, ne godiamo anche noi.

Che malinconia sfogliare il passato nella speranza di trovare risposte trasparenti. Tanto per dire: Giovanni Ventura è scappato in Bolivia col passaporto regalato dai servizi segreti malgrado l'accusa d'essere uno degli autori della strage di piazza Fontana.

Perché? Per quale ragione i militari che indagavano sulla strage di Bologna hanno deviato le indagini e nessuno li ha degradati? Come mai proprio adesso, Carlos, terrorista doc in prigione a Parigi, rompe anni di mutismo e si rimette a parlare fingendo discordia, ma in realtà dando fiato, alla diversione macroscopica della commissione Mitrokhin nella quale il presidente azzurro Paolo Guzzanti riversa le abitudini di cronista ricordato per imbrogli imbarazzanti? Sullo scandalo dei segreti di stato non solo difesi, ma allungati all'infinito per permettere ai colpevoli di chiudere gli occhi nel letto dei giusti, dovremmo prendere esempio da paesi insospettati. Lula e il Brasile sono la sorpresa, ma la civiltà anglosassone ne riserva altre.

Prima di lasciare la poltrona a Bush, Clinton ha liberato dal segreto le carte che raccontano la regia di Washington nel colpo di stato di Pinochet. Subito in galera, Manuel Contreras, comandante della Dina, polizia senza pietà del presidente-generale. Ma l'insidia delle verità rivelate aprono tracce imbarazzanti. I conti all'estero del dittatore immacolato, ma anche la mano sinistra di Kinssinger, segretario di stato e premio Nobel della Pace, direttamente coinvolto nei massacri che hanno accompagnato “la difesa della libertà dal comunismo di Allende”. mondo occidentale e cristiano riconoscenti. Il giudice spagnolo Garzon ha provato a convocare Kissinger raggiungendolo al Maxim di Parigi, ma Kissinger se ne è andato sotto protezione diplomatica.

Prima di lui voleva parlargli Juan Guzman, giudice cileno la cui convocazione non ha ricevuto risposta né dal Dipartimento di Stato, né dall'ambasciata Usa a Santiago. È andato in pensione scrivendo un libro presentato l'altro ieri a Madrid: “Alla fine del mondo, memoria del magistrato che ha processato Pinochet”. Kissinger? Un dubbio al quale le memorie rispondono. “Andrebbe processato assieme a Pinochet”. Tra l'America di Bush e l'America di Clinton, l'Italia di Berlusconi non ha dubbi: il silenzio aiuta a nascondere le magagne. Allora perché non prendere esempio dalla Svizzera nei giorni in cui la finanziaria non sa dove trovare i soldi? Fino al 1995 gli emigranti italiani erano sorvegliati speciali nella patria di Guglielmo Tell. Alla fine sono diventati “brava gente” e nell'arile del '96 Leonardo Zanier, uno dei 300 mila italiani spiati, sospettati, tenuti d'occhio con attenzione esasperata, riceve una lettera che lo sbalordisce. Coordinatore dell'Ecap, ente che aiutava i nostri emigranti ad integrarsi imparando il tedesco e che adesso si prende cura di turchi e magrebini, leader delle Colonie Libere e poeta friulano, Zanier viene infornato che per 30 anni ogni suo passo era finito nei verbali della polizia. Telefonate, due bocconi all'osteria, chi ha visto, con chi ha litigato, libri comprati e vita sentimentale nero su bianco nei rapporti delle forze di sicurezza. Dieci anni fa a Berna si sono convinti che erano spese inutili, carta da bruciare. Perché bruciarla?

Gli svizzeri sanno fare i conti: “Gentile signor Zanier, se le interessa, possiamo venderle i verbali dei nostri pedinamenti”. Un pacco di 400 pagine e Zanier compra e sfoglia con nostalgia. “Ma guarda un po' dov'ero alle 19 e 35 di giovedì 5 marzo '71. A Zurigo, cafeteria del Sant Gottardo, con la ragazza che doveva diventare mia moglie”.

Quasi una collezione di vecchie emozioni che sgonfiavano la rabbia del sapersi spiato intenerendo ricordi i congelati dalla polizia. Prezzo caro, ma l'osservato speciale lo ha pagato volentieri perché la fine di un segreto di stato è sempre una festa per tutti. Anche il governo del Berlusconi squattrinato da grandi opere e tornaconti personali potrebbe far cassa così. Ma dar aria ai segreti - dalla P2 alle amicizie siciliane - può diventare imbarazzante. Meglio tacere e che Lula si arrangi.

Maurizio Chierici – L’UNITA’ – 27/11/2005




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