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Nel segno di Bush |
La conferenza di Sharm
el Sheikh nasce sotto il segno di Bush vittorioso e le sue
conclusioni appaiono già scontate. Gli iracheni saranno
trascinati al voto il 30 gennaio 2005, a prescindere da ogni
valutazione - ieri, in tal senso, c'è stata la rivolta dei
paesi arabi - sulla validità di una elezione che si tiene in
un paese in guerra, con uno stillicidio incessante di morti, di
attentati, di rappresaglie in cui il cittadino qualunque ha,
ottantacinque volte più di prima, la probabilità
di morire ammazzato.
Gli iracheni conosceranno la democrazia
al piretro, allo zolfo e al napalm e non sapremo mai quanti l'avranno
gradita perché non c'è spazio per osservatori esterni
diligenti tra un proiettile vagante e un altro, tra un'autobomba e un
carro armato. Noi li bombardiamo e li massacriamo perché
votino.
Si dice che queste elezioni le vogliono gli sciiti e i
curdi, e probabilmente è vero. Ma questa è la premessa
inesorabile per una liquidazione dell'Iraq come entità statale
unitaria, perché i sunniti non voteranno o non potranno
votare.
Le conseguenze - lo vede chiunque - sono prevedibili e
infauste, verso un'irachizzazione della guerra.
In realtà
chi vuole le elezioni sono, in primo luogo, gli Stati uniti
d'America. Le vogliono perché esse legittimano tutto ciò
che è accaduto dall'aggressione anglo-americana fino alla
barbarie senza testimoni dell'operazione Falluja, passando per Abu
Ghraib. Saranno, a loro modo, un'altra tappa della mission
accomplished, dalla missione compiuta. Bush è dio e
Allawi è il suo profeta.
Tutto è stato messo in
atto perché Sharm el Sheikh disegni una vittoria
dell'imperatore «eletto dal popolo». L'intesa della
vigilia sulla cancellazione del debito, cui la Russia si è
piegata, ma non sappiamo in cambio di cosa; la presenza francese e
quella europea alla conferenza, quasi a configurare la resa degli
alleati occidentali riottosi; l'ennesimo e ultimo strattone inferto
alle Nazioni unite, incatenate a una risoluzione unanime del loro
consiglio di sicurezza che viene eseguita sulla punta dei cannoni
dalle truppe di occupazione che non solo presiederanno alle
operazioni di voto, ma che non è nemmeno previsto quando - e
se - se ne andranno da lì.
Una conferenza di pecore e
galline presieduta dal lupo e dalla volpe. Quanto rappresenti la
realtà del campo di battaglia è facile intuire, ma essa
rappresenta abbastanza bene lo stato dei rapporti di forza in atto
nel mondo in questa fase tragica del declino del diritto
internazionale, della democrazia e della stessa ragione.
Condoleezza
Rice al posto di Colin Powell: un falco al quadrato al posto della
radice quadrata di una colomba.
Due sole cose si possono
aggiungere come è altamente probabile: la commedia
multilaterale cui assisteremo a Sharm el Sheikh finirà
nello stesso modo in cui è finita la «risoluzione
unanime» del consiglio di sicurezza, cioè con gli
anglo-americani, da soli, a confrontarsi con gli iracheni, a
ucciderli ed esserne uccisi, mentre si prendono le loro ricchezze. E,
per il popolo iracheno, tutto intero, la certezza che ancora per
lungo tempo non avrà né pace, né democrazia. Il
mondo assisterà alla celebrazione delle nuove regole del gioco
finalmente «liberato» dallo spettacolo di sangue che
continuerà a scorrere tra il Tigri e l'Eufrate.
Giulietto Chiesa IL MANIFESTO 23/11/2004