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“Andrò a Parigi tra gli scrittori ma non devo ringraziare Sgarbi”

Che melodramma è venuto fuori, sembra l'aria della Traviata: Parigi o cara noi lasceremo!”, commenta Vincenzo Consolo, che insieme a Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi e Umberto Eco è fra gli scrittori che, invitati ufficialmente al Salone del libro di Parigi, con l'Italia in veste di ospite d'onore, hanno contestato la sponsorizzazione del governo Berlusconi.

Come è nata questa polemica, che si ripercuote da un versante all'altro delle Alpi, diffondendo notizie di defezioni eccellenti?

“I mass media come sempre hanno infiammato gli animi sfruttando un equivoco. Nessuno di noi ha detto di non voler rappresentare la nostra cultura. Intendiamo soltanto far sapere che siamo stati invitati dalle associazioni degli editori, al Centre national des Lettres, dal Ministero della cultura francese, e non siamo mandati dal governo italiano, come ha affermato quel sottosegretario che credo si chiami Sgarbi, o Sgarbo, nella conferenza stampa di Roma, vantandosi dell'apertura democratica del governo, perché “mandava a Parigi scrittori di sinistra”. E' questa avventata affermazione che ha scatenato la nostra reazione. Sia chiaro che non farò parte di una delegazione spesata dal governo, ma sarò ospite del mio editore francese, o anche soltanto di amici, piuttosto di rischiare di essere collegato in qualche modo a un governo che fin dal primo suo insediarsi ha dimostrato di disconoscere ogni regola democratica, osteggiando la magistratura, mettendo a rischio i processi, consentendo il rientro di capitali dall'estero.

Da parte di Parigi rimane secondo lei intatto l'omaggio alla cultura italiana, nonostante le affermazioni del ministro francese Tasca?

Certamente, anzi direi che in Francia in questo momento c'è una particolare attenzione per la nostra cultura. Gli scrittori italiani sono i più tradotti dopo quelli di lingua inglese, che ovviamente mantengono il primo posto perché vi sono compresi gli americani. Noi precediamo addirittura gli spagnoli, che pure comprendono anche i latinoamericani. La nostra letteratura è molto apprezzata sia per la sua tradizione alta che per la sua vivacità, in quanto è sempre aperta al dibattito delle idee. La nostra non è una letteratura d'evasione, oppure di catastrofismo, come tanta letteratura americana impregnata di tutte le perversioni,e nemmeno psicologico-esistenziale, ma è espressione di una cultura agganciata alla storia e alla società.

Questo rifarsi alla storia, che contraddistingue la nostra letteratura, è pur sempre una metaforica chiave di lettura del presente, come ci ha insegnato anche il Manzoni. Ma l'analisi della realtà contemporanea non induce secondo lei a una visione pessimistica, e cioè a quel catastrofismo che diceva prima?

No, se lo scrittore mette nella sua opera un segno di speranza. Come dice Bachtin, il romanzo è sempre critico perché alla componente poetica aggiunge quella logica, ma anche se rappresenta i lati negativi prefigura utopisticamente una società migliore. Lo scrittore eleva la sua voce per non lasciarsi sopraffare, e la sua utopia è un segno di speranza e quindi di ottimismo.

Intervista di Daniela Pizzagalli – IL SECOLO XIX – 10/02/2002




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