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Inchiesta: la sete della Sicilia |
Ormai è emergenza
permanente. La popolazione siciliana è ridotta alla sete. Ne
soffre anche lagricoltura, lindustria e ovviamente il
turismo.
Eppure, come si legge nel rapporto
L'acqua
rubata. Dalla mafia alle multinazionali
di Umberto Santino, presidente del Centro Siciliano di
Documentazione Giuseppe Impastato, «sullisola piovono in
media 7 miliardi di metri cubi dacqua allanno, quasi il
triplo del fabbisogno calcolato in 2 miliardi e 482 milioni di metri
cubi, tra fabbisogno agricolo, industriale e alimentare». Ma
poi basta qualche giorno senza pioggia, comè accaduto in
questo anticipo destate, per lasciare a secco lisola,
paralizzando le attività produttive. In alcune zone,
addirittura, lallarme è costante, come nelle province di
Agrigento, Caltanissetta ed Enna.
Il mistero dell'acqua che c'è
Ma
se le risorse idriche ci sarebbero, ed anche in abbondanza, perché
esiste un problema dellacqua così urgente e prioritario?
Perché lacqua non viene opportunamente raccolta e
distribuita?
Molti ne hanno scritto e discusso, ma una risposta
semplice la si può leggere nel rapporto
di sintesi sull'emergenza idrica in Sud-Italia del 2001
curato dallIstituto Nazionale di Economia Agraria (INEA): «La
carenza idrica sempre più frequente in Sicilia oltre a
dipendere da eventi siccitosi, dipende dallo stato in cui versano le
fonti di approvvigionamento e le reti di adduzione e distribuzione
idrica. Visto il numero di dighe e invasi artificiali di cui dispone
la regione, il problema potrebbe sicuramente essere meno rilevante.
Vanno segnalate alcune carenze manutentive delle fonti di
approvvigionamento e di molti tratti della rete idrica che hanno
determinato come conseguenza il fatto che le dighe siciliane ad oggi
invasino una quantità dacqua molto al di sotto delle
loro possibilità e che le portate addotte ai comprensori
irrigui risultino insufficienti a soddisfare le esigenze di una
moderna agricoltura».
Questa è la verità.
Le dighe e gli invasi ci sono. Centinaia di miliardi di denaro
pubblico sono stati spesi per la loro realizzazione. Però in
tutta lisola non cè una sola diga in grado di
funzionare a pieno regime. Ci sono dighe che da ventanni
attendono di essere completate, altre non sono state collaudate
affatto, altre richiederebbero piccoli interventi di manutenzione per
tornare a funzionare. Significativo è il caso della diga di
Blufi, denunciato nalla relazione di accompagnamento della proposta
di legge del 4 giugno 2001
di due deputati di Forza Italia per una Commissione
parlamentare d'inchiesta sull'emergenza idrica in Sicilia. «Per
la diga di Blufi il Comitato interministeriale per la programmazione
economica ha stanziato 133 miliardi di lire per il completamento, ma
la burocrazia da un lato, e la cattiva volontà di chi è
chiamato ad operare dall'altro, fanno sì che questi fondi
rimangano fermi», recita la relazione.
Altre dighe, le
poche funzionanti, possono contenere solo una parte della capienza
possibile, come la diga Ancipa, che potrebbe contenere 34 milioni di
metri cubi dacqua, ma ne raccoglie solo quattro. Per evitare
crolli, infatti, il Servizio Nazionale delle Dighe ha ordinato solo
il parziale riempimento delle dighe. E così metà
dellacqua disponibile si perde in condutture fatiscenti,
gestite senza raziocinio.
Le colpe dello spreco
Di
chi è la colpa di tutto questo spreco?
Sicuramente di una
cattiva gestione politica, segnata dal clientelismo. Perché i
soldi ci sono, è che si spendono male. Lopera pubblica
viene sempre più spesso utilizzata come occasione di
speculazione e di accaparramento del denaro pubblico, in un groviglio
di interessi che coinvolge imprenditori, amministratori, politici,
mafiosi. La storia è vecchia: si indicono le gare dappalto,
i vincitori si accaparrano i soldi pubblici investiti e i lavori
vengono avviati. Poi si spendono tutti i fondi necessari (per
destinazioni diverse), e i lavori restano incompiuti. Esemplare a
questo riguardo la vicenda della diga del Gibbesi, vicino Ravanusa.
Qui nel 1978 la Cassa del Mezzogiorno finanziò il progetto di
costruzione di una diga per utilizzare sia a scopo civile sia a scopo
agricolo il grande invaso del Gibbesi. Sono stati spese alcune
centinaia di miliardi ma il lavoro è rimasto a metà.
Basterebbe niente per finirlo, qualche centinaia di milioni, e se il
lavoro finisse almeno in questa parte della Sicilia il problema
sarebbe risolto; ma tutto è fermo. Così la maggior
parte dei cantieri giacciono abbandonati; altre volte vengono
sequestrati dai tribunali dopo aver collezionato decine di varianti
dopera che ne hanno moltiplicato il costo, prosciugando le
casse della Regione. Insomma, come usa dire chi in questa terra ne ha
viste tante, «in Sicilia lacqua non si beve, si mangia».
A peggiorare ulteriormente il quadro già critico, si aggiunge poi il problema della frammentazione della gestione. Così - denuncia Umberto Santino nel suo rapporto - «in Sicilia si dovrebbero occupare di acqua 3 enti regionali, 3 aziende municipalizzate, 2 società miste, 19 società private, 11 consorzi di bonifica, 284 gestioni comunali, e 400 consorzi». Una dispersione di energie, oltre che una moltiplicazione di centri di potere, di punti di controllo sul denaro, sul lavoro, sulle persone e sui voti
L'acqua di Cosa
nostra
Soprattutto non va dimenticato che lacqua è
uno dei settori in cui i gruppi mafiosi locali hanno esercitato
maggiormente il loro dominio e che allorigine di molte guerre
di mafia ci sono proprio le rivalità per il controllo
dellacqua. I mafiosi controllano la spartizione degli appalti,
praticano i pizzi sulle imprese, forniscono loro materiali e servizi,
o sono direttamente impegnati nellattività
imprenditoriale. Noti rappresentanti dei clan mafiosi, inoltre, hanno
privatizzato le acque sotterranee e controllano i pozzi. Il paradosso
che si crea, allora, è che mentre lacqua dovrebbe essere
un bene pubblico, spesso i Comuni si trovano costretti a prendere in
affitto i pozzi dei privati e a pagare profumatamente quella che
dovrebbe essere la loro acqua. E quello che è successo a
Palermo, come denuncia il rapporto del Centro Siciliano di
Documentazione Giuseppe Impastato, dove la mafia ha assunto il
controllo di migliaia pozzi che attingono alla falda freatica nella
fascia costiera, costringendo lAzienda Municipale locale (Amap)
a comprare a caro prezzo lacqua.
Cosa è stato fatto?
Quali
interventi sono stati adottati fino ad oggi per risolvere il problema
dellemergenza idrica in Sicilia?
Qualche anno fa si pensò
di risolvere il problema della gestione frammentata nominando
commissario il presidente della Regione. Per il 2000 unordinanza
di protezione civile stanziava 54 miliardi per opere urgenti da
realizzare nel giro di nove mesi e disponeva poteri di approvazione
rapida dei progetti per il presidente della Regione. Ma le
inadempienze della Regione indussero il ministro dei lavori pubblici
a nominare, nel febbraio del 2001, un commissario dello Stato, il
generale dei carabinieri Roberto Jucci. Uomo assai capace, che negli
ultimi anni aveva finalmente affrontato in modo serio il problema
dellacqua, proponendo anche listituzione di una
Authority, che sovrintendesse a tutta la questione dellacqua in
Sicilia, gestendo unitariamente le dighe, il sistema idrogeologico,
le condotte di adduzione e gli impianti comunali. La crisi sembrava
dunque finalmente avviarsi ad una soluzione, quando, circa un anno
fa, si insediò la giunta regionale di centro destra e il
neoeletto presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, tuttora
in carica, pretese di assumere direttamente il compito di commissario
delle acque, licenziando il generale Jucci.
«Giocheremo da
protagonisti e tra le priorità vi è la soluzione del
problema dellacqua in Sicilia» disse Cuffaro nel discorso
programmatico al momento del suo insediamento a Palazzo dOrleans.
Ma un anno dopo lacqua manca ancora. E con il sopraggiungere di
unaltra estate, lemergenza idrica si rinnova. A Palermo
la gente è di nuovo scesa in piazza a manifestare contro un
razionamento che lascia a secco molti quartieri della città e
contro unamministrazione pubblica che sembra assistere inerte.
Intere famiglie si sono riversate nelle strade per reclamare
provvedimenti urgenti, quelli promessi ma mai arrivati.
La risposta delle
istituzioni
Sul piano nazionale, il presidente del Consiglio
dei Ministri con decreti successivi ha dichiarato, fino al 31
dicembre 2002, lo stato di emergenza per la crisi di
approvvigionamento idropotabile nelle province di Agrigento,
Caltanissetta, Palermo, Trapani, Messina, Catania, Siracusa e Ragusa.
Mentre alla Camera è stato presentato il già citato
progetto di legge (N. 867 del 14 giugno 2001) per listituzione
di una Commissione parlamentare dinchiesta sullemergenza
idrica in Sicilia, che «abbia il compito di individuare i
motivi delle gravi inadempienze pubbliche perpetrate e ricercare le
responsabilità del mancato utilizzo dei fondi e di conseguenza
del mancato intervento, in tempi utili, affinchè si possano
scongiurare le ripetute crisi idriche».
Inoltre il 16
maggio scorso il ministro degli Affari regionali, La Loggia, ha
annunciato ufficialmente, tra le misure per combattere la mancanza di
acqua in Sicilia, anche il ricorso alle navi con dissalatori, in
grado di trasformare l'acqua salata in acqua potabile.
Ma il
commissario straordinario Cuffaro ha risposto che sarebbe troppo
oneroso per la Regione Sicilia, che «non ha intenzione di
sciupare denaro».
Sempre a maggio sono stati stanziati dal
Governo 45 milioni di euro, parte da versare ai contadini per
risarcirli dei danni subiti, parte da utilizzare per la riparazione
della rete idrica siciliana ridotta a un colabrodo.
A livello regionale, invece, il provvedimento più consistente finora adottato dal presidente Cuffaro è stato quello di ricostituire le unità di crisi nelle prefetture delle Province dell'isola. Con le unità di crisi i prefetti avranno a disposizione fino a 25 mila Euro (una somma alquanto modesta) per affrontare il pronto intervento, oltre alla possibilità di requisire, in caso di necessità, i pozzi dei privati.
Tutto è pronto? Mancano solo
gli interventi.
Chiara
Ceneroni, L'Unità, 06/06/2002
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