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O.N.U.
- le speranze deluse dei Popoli Indigeni |
Trecentocinquanta
milioni di persone nel mondo vivono una particolare situazione di
emarginazione e violenza. Tante sono infatti le persone che
appartengono ai popoli indigeni. Unappartenenza che significa,
nella quasi totalità dei casi, miseria, spoliazione delle
terre ancestrali, privazione dei diritti civili e politici (molto
spesso anche la violazione dei diritti umani fondamentali, quali il
diritto alla vita) e continua minaccia di estinzione fisica e
culturale.
Il riconoscimento dei loro specifici diritti, in quanto
popoli, è lobiettivo che da molti anni i rappresentanti
indigeni stanno perseguendo con tenacia, combattendo contro
lindifferenza, le incomprensioni e lostilità dei
rispettivi governi, che vedono minacciato il loro predominio
politico, economico e culturale sulla popolazione
indigena.
Accogliendo le richieste dei rappresentanti indigeni,
che da molti anni vedevano dibattere le tematiche che li riguardavano
allinterno di un Gruppo di Lavoro della Commissione sui Diritti
Umani (gruppo ai cui lavori partecipavano senza alcun diritto
decisionale), lOnu ha istituito il Decennio dei popoli indigeni
(1994-2004).
Tra altri importanti obiettivi relativi alla
promozione e protezione dei loro diritti specifici vi è
quello, di grandissimo rilievo politico e culturale,
dell;inserimento nel diritto internazionale dei princìpi
del diritto e delle concezioni filosofiche indigeni.
Un
riconoscimento di altissimo valore dellimportanza di queste
culture e della loro attualità in un mondo sempre più
teso alla cancellazione delle differenze.
Nel mentre i popoli
indigeni ottenevano inequivocabili riconoscimenti formali, si
evidenziavano con sempre maggior forza i limiti del Gruppo di Lavoro,
che non costituiva un valido interlocutore delle istanze e delle
denunce dei rappresentanti indigeni circa le gravi e continue
violazioni dei loro diritti perpetrate nei rispettivi Paesi.
Le
discriminazioni razziali, la spoliazione spesso violenta dei loro
territori e delle risorse naturali, la mancanza di assistenza
sanitaria e di istruzione, le condizioni di lavoro sottopagato e
svolto in condizioni degradanti, la forzata integrazione culturale e
la conseguente perdita di identità venivano considerati temi
non pertinenti e non incontravano, di conseguenza, un ascolto
adeguato.
La drammaticità della condizione indigena non
riusciva a imporsi allattenzione degli organismi
internazionali. Nacque quindi lidea di costituire un Foro
Permanente, uno spazio che non solo accogliesse le denunce ma che
fosse anche preposto al dibattito e alla ricerca di soluzioni
concrete.
Nel 1992 la Conferenza Mondiale sui Diritti Umani di
Vienna accolse questa idea, per la cui realizzazione le Nazioni Unite
organizzarono negli anni seguenti due seminari, a Copenhagen e a
Santiago del Cile. Altri incontri furono organizzati dagli indigeni
in Cile e a Panama, mentre nel biennio 1999-2000 si riunì a
Ginevra uno specifico Gruppo di Lavoro.
Il risultato di tanto
lavoro è stato ufficializzato il 27 luglio 2000, quando il
Consiglio Economico e Sociale ha approvato la Risoluzione della
Commissione sui Diritti Umani sulla costituzione del Forum
Permanente.
Nonostante alcuni risultati positivi, anche in questa
occasione è emerso molto chiaramente quanto sia ancora lungo e
difficoltoso il cammino dei popoli indigeni per vedere concretamente
riconosciuti i loro diritti.
Negli organismi Onu la forza
decisionale dei governi è incomparabilmente maggiore di quella
dei rappresentanti indigeni, che si trovano in una condizione
contraddittoria e quindi di grande debolezza contrattuale: quella di
presentare istanze e richieste di difesa dei diritti violati dagli
Stati di appartenenza di fronte a un organismo creato in
rappresentanza degli stessi Stati.
Linizio dei lavori per la
costituzione del Forum Permanente fu salutato con grande entusiasmo e
grandi aspettative da parte degli organismi e dei movimenti
indigeni.
Entusiasmo e aspettative che si sono notevolmente
affievoliti nel corso degli anni fino a giungere a un drastico
ridimensionamento al termine delliter che ha portato alla sua
attuale configurazione.
Il Forum, di cui restano ancora da
definire la nomina dei membri e aspetti organizzativi e di
reperimento delle risorse, ha fortemente deluso chi sperava in una
dimostrazione di sensibilità da parte dellOnu nei
confronti dei diritti di tanta parte di popolazione mondiale.
Il
Forum non è, come auspicato, né "dei" né
"per" i popoli indigeni, ma solo sui "temi indigeni"
e i suoi membri sono indicati come "esperti" designati dal
Consiglio Economico e Sociale e non come "rappresentanti"
dei popoli indigeni che, in merito alla loro nomina, verranno
semplicemente "consultati" senza godere di alcun effettivo
diritto decisionale.
Che il Forum, nella sua costituzione attuale,
sia lespressione dei governi (fortemente contrari allipotesi
di un organismo forte che vedesse riconosciuta pari rappresentanza a
Stati e popoli indigeni) risulta evidente facendo il confronto tra la
velocità (circa 3 anni) con cui è stato istituito e la
esasperante lentezza dellelaborazione della Dichiarazione dei
Diritti dei popoli indigeni, non ancora giunta al termine dopo oltre
15 anni di lavoro. Un lavoro sul quale ora incombono ulteriori
pericoli di indebolirne la potenzialità.
Non è un
caso che, così come sono stati aggirati altri punti di
contrasto tra governi e indigeni, anche il concetto di "popolo",
che costituisce il fulcro della futura Dichiarazione, sia stato
eliminato dalla terminologia del Forum.
Da anni, infatti, i lavori
sulla Dichiarazione sono fermi in particolare allart. 3, quello
che unisce al concetto di "popolo" il diritto di
autodeterminazione, previsto dalle norme internazionali. Un obiettivo
ritenuto irrinunciabile dai popoli indigeni e altrettanto fortemente
rifiutato dai governi, dato che lautodeterminazione implica
lautonomia nella gestione del proprio territorio, allinterno
del quale le comunità indigene avrebbero una distinta
organizzazione sociale e una autonoma gestione delle risorse
economiche e ambientali, comprese le differenti specie vegetali e
animali presenti sui loro territori e delle quali alcune grandi
industrie stanno brevettando il patrimonio genetico, violando quello
stesso diritto di proprietà che in altre occasioni viene
difeso come il fondamento stesso del sistema capitalista.
È
comprensibile come lattuale costituzione del Forum, svuotato
politicamente e indebolito nella rappresentanza indigena, sia stato
ritenuto accettabile dai governi e velocemente approvato nella sua
veste di semplice organo "consultivo".
Gli indigeni, cui
è stato concesso un solo intervento nella seduta di
approvazione del nuovo organismo, non solo non hanno più alcun
potere di modificarlo ma vedono fortemente limitata anche la
possibilità, nelle future sessioni di lavoro sulla
Dichiarazione, di difendere con successo il concetto stesso di
"popolo", per il quale si stanno battendo da oltre 15
anni.
Al di là delle enunciazioni di principio, risulta
evidente come gli organismi internazionali e gli Stati da essi
rappresentati sono molto lontani dal volersi confrontare
paritariamente e dal volere garantire i diritti di popoli portatori
di culture che esprimono concezioni filosofiche, stili di vita e
modalità di relazioni sociali fortemente in contrasto con il
modello dominante, del quale costituiscono, con la loro stessa
esistenza, una messa in discussione profonda.
MARIELLA MORESCO FORNASIER
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