«Il
numero d'emergenza per le ambulanze è di nuovo in
funzione». Per chi non l'avesse compresa in pashtu, la
lingua parlata da più del 50% degli afghani, la notizia
viene ripetuta in dialetto dari. Seguita da uno stacco musicale e
dal secondo messaggio più importante della giornata: la
strada che dal nord del Paese porta nella capitale, è
sminata. Kabul, 25 febbraio, ore 6.30: sulle frequenze di Radio
Afghanistan debutta Good Morning Afghanistan, il primo programma
di news e intrattenimento post talebani. In redazione, 20
giornalisti locali coordinati da tre esperti dell'ong danese The
Baltic Media Centre. In ascolto, potenzialmente, milioni di
persone. «La trasmissione dura due ore e si riceve nell'80%
del Paese», spiega Waseem Mahmood, project leader della
trasmissione. Metà pakistano e metà inglese,
Mahmood è arrivato a Kabul quattro settimane fa. Con 235
mila euro donati dalla Commissione europea e tutte le paure che
può avere uno straniero deciso a lanciare una trasmissione
radio in Afghanistan: dalla sicurezza alla mancanza di strumenti
tecnici, dalle incognite sulla nuova classe politica alla
difficoltà di comunicare in un Paese praticamente privo di
infrastrutture. Vita: Quando è iniziata questa
avventura? Waseem Mahmood: L'11 settembre. Dall'Asia
meridionale, dove ero impegnato su un altro progetto del Baltic
Media Center, mi sono spostato in Pakistan per creare una radio
umanitaria. Sapevamo che molti afghani avrebbero tentato di
varcare il confine: via radio avremmo dovuto avvisarli che i
campi profughi pakistani erano già pieni e che non c'erano
aiuti. Quando eravamo quasi pronti per partire, però, la
Commissione europea ci ha chiesto di preparare un progetto per
una radio a Kabul. Abbiamo risposto che, nel migliore dei casi,
potevamo sperare di trasmettere per un'ora alla settimana sulle
frequenze di Radio Afghanistan, l'unica emittente non soppressa
dai talebani, che però durante il regime è
diventata una specie di radio Sharia, la voce degli studenti
coranici. Vita: Invece Good Morning Afghanistan va in
onda tutti i giorni per due ore... Mahmood: Quattro
settimane fa, arrivati a Kabul, abbiamo trovato molta
collaborazione da parte del governo afghano. Così abbiamo
cambiato idea. Tutte le attrezzature tecniche, di seconda mano,
le abbiamo avute in regalo da emittenti radiofoniche inglesi e
danesi. Vita: E i giornalisti? Mahmood: Ho
cominciato a contattarli dal Pakistan, dove ho incontrato alcuni
reporter usciti dal Paese. Di conoscenza in conoscenza, abbiamo
messo insieme una redazione di 20 persone che rappresentano tutte
le maggiori etnie del Paese. Vita: Niente Internet,
poca televisione, linee telefoniche che cadono spesso, come fate
a raccogliere le informazioni? Mahmood: Le notizie,
per il momento, ci arrivano dalle altre organizzazioni non
governative impegnate sul territorio. In futuro, speriamo,
potremo inviare i nostri giornalisti nelle varie aree del Paese.
Trasmettiamo soprattutto informazioni pratiche per la
popolazione: dove si distribuisce il cibo, dove ci si cura, dove
c'è lavoro. Per divertirsi, c'è un po' di musica e
di intrattenimento. Vita: Siete liberi dire quello che
volete? Mahmood: Sì. Per ora non facciamo
inchieste giornalistiche che potrebbero dar fastidio a qualcuno.
Partiamo con informazioni utili, poi vedremo. Vita:
Avete stimato quale potrebbe essere l'impatto sociale della
vostra trasmissione? Mahmood: Abbiamo realizzato
progetti simili nei Balcani e in tutta l'Asia. Quando un Paese è
distrutto come l'Afghanistan, la radio è l'unico strumento
in grado di raggiungere quasi tutta la popolazione. Vita:
Con che notizie aprirete la trasmissione domani? Mahmood:
Con un aggiornamento delle aree sminate, spero.
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