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Ma quel Salone è anche nostro |
Caro Direttore, sono uno degli invitati al Salone del Libro di Parigi ed è a proposito di questo che scrivo, con l'intenzione di dare il mio piccolo contributo ad un dibattito che spero continui con passione. Condivido le stesse preoccupazioni di Camilleri, Consolo e Tabucchi rispetto alla cultura e alla democrazia nell'Italia di oggi. Anch'io non mi sento rappresentato da questo governo, me ne vergogno e non vedo l'ora che se ne torni a casa. E se devo fare un paragone, mi sento molto più vicino alle posizioni della signora Tasca che a quelle di Alain Elkann. Però a Parigi ci vado. Ci vado in rappresentanza di me stesso e di quella piccolissima fettina di cultura italiana che la mia circonferenza addominale (cito questa perché quella toracica è più stretta) ricopre, e ci vado a mie spese, con i soldi che ho versato allo stato (non al governo o a Berlusconi) con le mie tasse. Non faccio parte di nessuna delegazione ufficiale che rappresenti il governo italiano e non permetto a nessuno, tantomeno a Berlusconi o a Sgarbi, di mettermi un cappello politico di qualunque genere. Vado soltanto in rappresentanza della letteratura che pratico, esprimendo le mie idee (e di conseguenza il mio dissenso a questo governo) tutte le volte che potrò farlo. Come sono certo che lo faranno tutti gli scrittori che appartengono a quella metà degli italiani che non ha votato per questa maggioranza. Sarà interessante approfittare di questa occasione per portare una riflessione sulla cultura che in questo momento è anche una riflessione politica, su una ribalta internazionale. Apprezzo e rispetto l'iniziativa di Camilleri, Consolo e Tabucchi, la ritengo una importantissima presa di posizione che ha portato alla luce un dibattito nient'affatto fuori luogo. Ma personalmente non me la sento di lasciare la paternità culturale e politica di questa iniziativa al governo. Il salone del libro di Parigi, nonostante tutto, è anche nostro. Carlo Lucarelli L'UNITA' 09/02/2002 |
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