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L'UNITA' 06/10/2001 |
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Storia verosimile di un Silvio e di un Gino |
La storia che voglio raccontare oggi non è vera ma è verosimile nel senso che non è accaduta ma avrebbe potuto accadere. Il Silvio, il Gino e io da bambini frequentavamo lo stesso oratorio. Sì, anch'io che sono ebreo lo frequentavo perché nell'Italietta dell'immediato dopoguerra gli oratori non erano tanto luoghi di preghiera quanto luoghi di aggregazione col campetto da calcio, il tavolo da ping-pong e il calciobalilla detto anche bigliardino. Il Silvio era di quelli con i pantaloncini all'inglese, famiglia benestante, già convinto che la sostanza fosse la cosa più importante, quella che ti rende libero. Continuava a ripeterlo: la sostanza rende liberi. A lui per la cresima gli avevano regalato un Longines tutto d'oro, a noi se ci andava di lusso ci rifilavano l'orologino con su topolino e le sue manine gialloguantate per lancette e correre. Ma poi si era felici lo stesso. Il Silvio c'aveva tutte le collezioni di figurine dei calciatori doppie o anche triple e quelle quando si organizzavano, le squadre di calcio si comprava il ruolo che più gli piaceva. Più tardi si comprò anche i primi baci dalle ragazze con certi rossetti che il papà gli portava da Parigi per educarlo alla inscindibile relazione fra virilità e sostanza . Il Gino era invece di famiglia proletaria, aveva gesti rudi e sicuri fin da piccolo e doveva essere nato con l'espressione incazzata, perché sembrava sempre incazzato anche quando sorrideva. Lui con le figurine non c'era modo di comprarlo, era come il Robespierre incorruttibile. Ma se eri nei guai, di qualsiasi natura, lui trovava il modo di tirartici fuori, se ti eri fatto male tirava fuori una scatoletta dei tabù con dentro qualche intruglio, ci sputava sopra e con quella mistura ti rimetteva a posto.
Poi siamo tutti cresciuti, il Silvio ha fatto un carrierone, in un paese pieno di pirla come il nostro, capace anche che diventa Presidente della Repubblica. Il Gino è diventato un superchirurgo, c'eveva la vocazione fin da piccolo. Ha anche preso la specializzazione a Stanford. Solo che invece di fare il barone in qualche università, quel pira fa il dottore dei poveri extracomunitari islamici e per di più dove c'è la guerra. Recentemente ho saputo che il Silvio ha parlato male del Gino. Questa non mi va giù.
Senti Silvio, tu a far affari e a fottere il tuo prossimo sei un mago, ma il Gino sul suo, bisogna lasciarlo stare, lì non sei neanche in grado di allacciargli le stringhe delle scarpe. Ma se proprio la tua sindrome da primo della classe ti spingesse a voler dimostrare che anche il solidarietà dai la birra a Madre Teresa, allora vai un paio d'anni a fare l'assistente infermiere da Gino, pulisci le piaghe degli ammalati e tieni in ordine le latrine. Ah! Silvio, senza l'occhio del Grande Fratello. Se decidi ti do un consiglio, leggiti prima di partire, quel pezzo di Shakespeare, ma sì! Quello dell'ebreo di Venezia. Come dice? Non ha occhi, un afgano, non ha cuore? Se lo pungete non sanguina? Se lo solleticate non ride? Se lo avvelenate non muore? Come dici Silvio? Non è proprio così il testo? Ma sai io sono sempre stato un approssimativo. Tu che se un editore colto capirai e capirai Silvio che i diseredati non sono un inconveniente, ma una tragedia Silvio, una tragedia.
Moni Ovadia L'Unità 06/10/2001
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