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Terrore e prepotenza |
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L'attentato alle sinagoghe di Istanbul mi ha lasciato tramortito. Venivo da due notti di poco e cattivo sonno per il massacro dei nostri carabinieri. La naturale pietà umana per le vittime e il pensiero di famiglie devastate si sommano in questi casi a cattivi presagi sul futuro di tutti noi. I luoghi di culto ebraici sventrati e il sangue degli innocenti che si raccolgono in preghiera mi hanno riportato con il ricordo a mio padre. Mio nonno era un ebreo turco, di Smirne, e mio padre portava nel soma i tratti ottomani. Ricordo i suoi gesti pesati e sobri di quando si metteva l'abito migliore e la lobbia blu per andare in sinagoga nei giorni delle feste solenni. A lungo ho guardato con sufficienza a questa sua consuetudine consumata con puntiglio borghese. Poi mi ci sono ritrovato anch'io a prepararmi con decenza ponderata coi miei tempi per andare al Tempio. Non sono un credente, ma quel rito comunitario appartiene alla mia identità profonda ed alla mia spiritualità di essere umano libero, santo ed uguale di cui la modalità ebraica è una radicale manifestazione. Questo vado a celebrare il sabato e nei giorni delle grandi festività. Rimanere coinvolto in un attentato terroristico è un rischio che corrono persone come me. Per altri il tasso di rischio è maggiore perché la loro frequenza nei posti pericolosi è continua. Per altri ancora il rischio è crudelmente casuale: sono semplici, ignari passanti. Perché tutto questo? Perché c'è l'odio, perché il terrorismo islamico ha dichiarato guerra all'Occidente democratico e i terroristi sono fanatici sanguinari e per loro la vita umana non ha alcun valore. Queste cose sono parzialmente e capziosamente vere e sono risposte di routine che emergono da parte di chi si crede a priori nel giusto e non si interroga sulla legittimità delle proprie scelte e dei propri comportamenti. Che crede profondamente nella pace non chiude gli occhi davanti alla complessità del reale e si rifiuta di usare la pietà e il dolore per le morti innocenti che gli sono vicine come pala per scavare fossati di guerra o come grimaldelli politici per calunniare il pensiero critico. Personalmente, l'orrore terrorista non mi fa chiudere gli occhi davanti ai gravi fenomeni di perversione della legalità internazionale e di quei principi di ripulsa della guerra come strumento per dirimere le controversie internazionali che sono fra le conquiste più alte del libero pensiero dell'Occidente. Quel pensiero di cui andiamo giustamente fieri e che l'arroganza e le prepotenza del neo-conservatorismo vorrebbero demolire con fideistica ottusità. Dopo aver pervertito il linguaggio con due ossimori quali guerra umanitaria e guerra preventiva, si è passati ai fatti. L'amministrazione Bush, solo grazie allo strapotere militare ha costruito il conflitto contro l'Iraq e contro l'Onu su un cumulo di menzogne e di sicumera irresponsabile che oggi emergono in tutta la loro tragica evidenza. Malgrado tutti gli artifici retorici, persone decenti in tutto il mondo fra cui milioni di semplici cittadini, ma anche autorevoli esponenti delle istituzioni statunitensi non vogliono chiudere gli occhi. Non vogliono dimenticare mai le moltitudini di vittime quotidiane della fame, delle malattie, le spaventose sperequazioni create dal cosiddetto libero mercato globalizzato. Il terrorismo non può essere combattuto con gli eserciti e le bombe deflagranti, ma sono con la guerra a tutte le ingiustizie e con il rispetto delle diversità e delle alterità per lasciare spazio a molteplici forme di democrazia in sintonia con le diverse culture e tradizioni. E' necessario rifondare su nuove basi la legalità internazionale e contrastare l'escalation verso la violenza fatta di risposte militari univoche alle centrali del terrore che non aspettano altro per alzare il tiro. Io non sono fra coloro che schematicamente ritengono il conflitto israelo-palestinese la madre di ogni problema terroristico di matrice islamica, perché le sue cause sono molteplici. Questa semplificazione è a mio parere rassicurante ma al tempo stesso rigida ai limiti della sclerosi ideologica. Tuttavia, la prolungata e drammatica condizione del popolo palestinese a seguito dell'occupazione e della colonizzazione porta benzina al fuoco del fanatismo. La politica del governo Sharon, basata finora solo forza militare, ha fatto decisamente arretrare ogni prospettiva di pace e ha favorito la radicalizzazione del conflitto. Il terrorismo non aspetta altro. I veri nemici dell'opzione violenta sono i recenti accordi di pace di Ginevra, che saranno siglati a quattro mani da autorevoli esponenti dell'opposizione israeliana e da rappresenti del mondo politico palestinese. Giovanni Paolo II, in riferimento alla visita di Ariel Sharon in Italia, ha rivolto parole di critica al muro che il governo israeliano sta edificando con il dichiarato scopo di difendere i cittadini di Israele dal terrorismo. I popoli, ha detto il Papa, hanno bisogno di ponti e non di muri. Molti in Israele e nel mondo ebraico hanno reagito con risentimento alle parole del Pontefice. Conosco e posso capire la suscettibilità ebraica, ma ritengo che la critica di Giovanni Paolo II sia condivisibile soprattutto sul piano morale e comunque quel muro smembra ulteriormente le terre e le famiglie palestinesi e non proteggerà Israele dal terrorismo suicida. Moni Ovadia IL SECOLO XIX 18/11/2003 |
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