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Moni Ovadia

Vivere, ricordare, tramandare

Il Giorno della Memoria istituito con legge dello Stato nel 2000, è una ricorrenza che ha generato, in questi primissimi anni della sua nascita, un grande numero di iniziative, articoli, programmi televisivi, spettacoli e altre attività.

Per quanto mi riguarda, il Giorno della Memoria è cominciato il 7 gennaio e si concluderà il 28 febbraio. Sono stato invitato a tenere conversazioni in scuole, comuni, biblioteche, carceri. Il 27 gennaio ho condiviso la ricorrenza con alcune autorità della Regione Emilia Romagna e Nedo Fiano, un ebreo sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, testimone straordinario di quell'inferno. Sono amico di Nedo, è uomo bello e vigoroso nonostante gli anni che avanzano e brilla di una sconcertante luce vitale. Ogni volta che ho occasione di incontrarlo, si rinnova in me lo stupore per come un uomo che abbia vissuto un simile dolore, che ha perso la famiglia, che è stato strappato dalle braccia di sua madre per vederla inghiottire nell'abisso di una morte atroce, riesca ad essere così' forte, positivo. Nedo è un toscanaccio che ha mantenuto il gusto per la battuta, per l'umorismo. Ho ascoltato molte volte il racconto del suo calvario, le sue parole forti e dolenti.

Lo scorso martedì, davanti a settemila studenti, ho udito la sua voce spezzarsi ogni volta che il ricordo tornava alla madre. Il nodo del pianto gli serrava la gola. Ogni anno che trascorre sento montare l'angoscia per il futuro di questa memoria. I testimoni se ne andranno come è nella natura delle cose. Toccherà a noi della generazione successiva, le cui emozioni sono intrise dell'eco prossima di quegli eventi, raccogliere l'eredità e la responsabilità di tramandare la memoria.

Un'amica, anch'essa sopravvissuta ad Auschwitz dove la portarono fanciulla di 13 anni, mi ha proposto di raccogliere il testimone della sua discesa all'inferno nazista. Non si tratterebbe solo di ascoltare una storia terribile. Dovrei iscrivere quelle parole nel mio sangue e nelle mie cellule, nelle fibre profonde del mio sentimento. Confesso che non ho ancora trovato la forza per farlo.

La memoria è uno strumento per il futuro, il dolore di altri uomini deve essere posto al servizio degli uomini di oggi, in particolare dei giovani, non per la retorica che sempre si costruisce intorno a loro, ma perché essi sono il domani. Solo costruendo un mondo giustizia, di libertà, di uguaglianza per tutti gli esseri umani, si risarcisce anche l'infinito dolore dei sommersi e dei salvati. I semi necrofori della crudeltà e dell'indifferenza dovrebbero essere banditi anche nei confronti del mondo animale e di quello vegetale. Queste sono naturalmente belle parole e propositi onesti, ma non bastano. E' urgente capire cosa fare quando il clamore della novità si sarà placato e la maledetta routine trasformerà la ricorrenza in celebrazione e la naturale pigrizia, solleciterà l'inclinazione opportunistica delle istituzioni a risolvere il tutto con una sontuosa museificazione. Credo come ebreo, che la memoria ebraica dovrà venire più forte “ritraendosi” per farsi cornice di altri spaventosi orrori passati e presenti. Il 27, dopo la mattinata con Nedo Fiano, nel pomeriggio sono stato all'Università di Ferrara con il mio amico Antun Blazevic detto Toni lo zingaro nato in Croazia. Toni ha detto: “Gli ebrei hanno la memoria, noi zingari non abbiamo neanche quella”. Le sue parole mi hanno ricordato le parole di una canzone che talora canto nei miei spettacoli. Si intitola Zigeuner Lid, è in yiddish. L'ha scritta un ebreo nel lager guardando le sofferenze degli zingari. Le parole dicono più o meno così: “La notte è scura come il carbone/ io penso e ripenso tutta lanotte/ noi zingari viviamo come nessun altro/ soffriamo il bisogno e ci manca il pane/ non abbiamo un luogo per il giorno/ non abbiamo un posto per la notte/chiunque ci può bastonare”.

Ho sentito raccontare che nella periferia di Milano, in pieno inverno, è stato sgombrato un campo nomadi e una trentina di bambini sono stati lasciati all'addiaccio sotto una pioggia gelida.

Mi sono ricordato di un maestro che raccontava ad un suo alunno, uno zingaro musulmano bosniaco di 10 anni, di stare per partire per Auschwitz dove erano stati sterminati migliaia di zingari. Mohammed, questo è il nome dell'alunno, gli ha detto di portare con sé un coltello o una pistola. Sorridendo il maestro ha spiegato a Mahammed che quelle brutte cose accadevano più di cinquant'anni prima e che oggi non accadono più. Ma Mohammed gli ha risposto: “Tu portati un coltello o una pistola perché di notte...di notte...tornano!”.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 31/02/2003


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