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Sharon, l'uomo sbagliato |
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Quando il generale Sharon fu eletto primo ministro d'Israele, ci furono reazioni contrastanti fra gli analisti e i politici. La prima reazione dei suoi avversari fu quella di pensare che il suo ritorno sarebbe stato negativo per il processo di pace, ma in molti fece capolino la speranza che al generale sarebbe riuscita l'impresa di porre fine al conflitto, impresa in cui i laburisti erano falliti. In Israele una gran parte dell'opinione pubblica non si fida dei laburisti. Li giudica disposti alla resa e pronti a mettere in pericolo l'esistenza stessa degli israeliani con il loro idealismo o peggio ancora con il loro sballato retaggio di marxisti, comunisti o giù di lì. Qualcosa di simile agita molti elettori berlusconiani e di An in Italia, che vedono un comunista mangia-bambini in ogni oppositore. Questa è una piaga vera e propria nella politica dei due Paesi perché comprime il confronto nella gabbia del pregiudizio. Inoltre in Israele tale sentimento è fortemente motivato dall'emergenza del terrorismo. Dunque proprio perché uomo intransigente e di destra, pertanto non sospettabile di resa al nemico, Sharon avrebbe potuto fare il miracolo. Il pensiero corse a Begin, il premier della pace con l'Egitto. Mai speranza fu più infondata. Sharon non solo è un superfalco conservatore, ma è un militare di destra. Non è, né sembra potere mai essere un politico. L'idea stessa di trattativa gli è estranea. A parole si dice favorevole alla road map e individua nei premier palestinesi Abu Mazen e Abu Ala leali interlocutori, ma nei fatti agisce compulsivamente per togliere ogni spazio alla trattativa. Ovviamente gli argomenti non gli mancano. Il terrorismo che uccide i civili, la perdurante ambiguità di Arafat, i propositi di Hamas di fondare uno stato islamico in tutto il territorio della Palestina storica. Anche Rabin aveva gli stessi problemi, ma si comportava in modo antitetico a quello di Sharon. L'esecuzione "mirata" di Yassin è l'ultima tappa di un'escalation che dimostra come gli strumenti dell'analisi politica non servano in questa circostanza. È alla psicologia dell'uomo che bisogna guardare. Non mi sembra esserci nulla di politico nell'atteggiamento di Sharon e dei suoi più stretti collaboratori. Neppure nel ritiro da Gaza. Esso è piuttosto una ritirata strategica di natura militare da una zona indifendibile per concentrarsi sulla Cisgiordania e mantenere lì tutti o quasi gli insediamenti, primo fra i quali Gerusalemme est. La ritirata deve essere una prova di forza, dunque il messaggio al nemico è: "se ho colpito Yassin a Gaza che non mi interessa più, prova ad immaginarti cosa sono disposto a fare per i territori della Cisgiordania che definisco terre contese, ma che considero luoghi della Israele biblica". In questo quadro si colloca la
minaccia di colpire Arafat. Il generale Sharon fa la guerra e
concepisce solo la vittoria militare con resa incondizionata del
nemico. Ma non solo. Una totale disfatta del nemico può
essere una modalità perversa per ottenere la pace, purché
dopo la sconfitta della leadership che hai combattuto ti ritiri
completamente per dare al nemico che ha perso la totalità
della sua terra e delle sue prerogative per vivere con dignità
in un contesto di pace. Sharon non ci pensa neppure. Lo Stato
palestinese che ha in testa è un sistema di bantustan,
come le terre che il Sudafrica dell'apartheid riservava ai
nativi. Di fatto una nazione fittizia. Questo perché
Sharon ha sempre pensato che lo Stato palestinese ci sia già:
ovvero la Giordania. Ha accettato l'idea di uno statucolo
palestinese fantasma, obtorto collo, solo per le pressioni
statunitensi. Sharon ha ignorato persino gli avvertimenti dei più assennati e realisti nel suo campo. Non conosce dubbi e ha già messo in conto le conseguenze devastanti che i suoi atti possono provocare. Oggi il primo segnale: è stato arrestato a Nablus un ragazzino di quattordici anni imbottito di esplosivo e pronto ad immolarsi per seminare la morte. Se l'età dei terroristi suicidi si abbassa così pericolosamente, c'è da rabbrividire al pensiero del suo significato pratico e simbolico. Solo un intervento fermo della comunità internazionale guidato dagli Stati Uniti potrebbe arrestare la spirale incendiaria. Ma fino alle prossime elezioni gli americani si asterranno da ogni iniziativa. Sharon sa, all'occorrenza, di potere ancora per qualche mese colpire duro. A chi come noi crede invece nella pace, non resta che attendere il pensionamento di questo vecchio generale insieme alla sua corte di falchi e ai suoi irriducibili nemici, che con la loro pratica terroristica sono solo riusciti a rilegittimarlo davanti agli occhi della maggioranza dei sempre più disperati e sgomenti cittadini del suo Paese. Moni Ovadia IL SECOLO XIX 25/03/2004 |
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