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Un uomo chiamato Manifesto |
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Il paesaggio urbano delle nostre belle città si degrada sempre più. Ciò sembrerebbe far parte dell'ordine delle cose. Dipende dalla svendita dello spazio visuale, di ogni spazio visuale. I manifesti pubblicitari sono sempre più invasivi ed aggressivi. La soglia minima della decenza viene continuamente abbattuta, segno evidente che il comune senso del pudore e quello del cosiddetto buon gusto, sono state delle croste di un moralismo tanto virulento quanto inconsistente. La situazione è ulteriormente aggravata dal dilagare di insegna di negozi che inalberano i peggiori standard dell'inglese adoperato in occasione dei cosiddetti briefing da executive americanizzati. Ma da un paio d'anni, questa affezione si è acutizzata per l'occupazione massiccia degli spazi delegati, dei muri e delle impalcature, da parte di un solo uomo, con qualche interstizio munificamente concesso alla corte di quello stesso uno. Uno e unto. Il presidente Berlusconi, con i mezzi e la protervia solitamente a disposizione di tiranni e dittatori, ha quasi oscurato i cieli con la pletora del suo faccione. Il solo cielo che egli ci vorrebbe fare contemplare, è quello delle scenografie azzurre delle sue convention o dei suoi manifesti. La ridondanza della sua personale azzurrità ha quasi usurpato la leggendaria maglia della nazionale di tutti gli Italiani. Persino il grido di entusiasmo per le imprese dei nostri atleti si blocca nella strozza dei sempre più numerosi oppositori in crescita esponenziale non foss'altro perché non ne possono più di vederlo prodursi nelle sue filippiche, geremiadi o autoincensamenti. Le prime ondate della sua parusia nelle icone elettorali era stata all'insegna della combattiva volontà di affermazione al di là di ogni dubbio. Uno e proteiforme, ubiquo e onnipotente, imprenditore e operaio, governante e CT, crooner e tycoon televisivo aveva guardato in alto, molto in alto, scegliendo evidentemente come modello il buon Dio. Quel Berlusconi ci aveva lasciato sgomenti, avevamo temuto, a ragione, per la salute delle nostre istituzioni democratiche. Quella prima invasione dell'ultracorpo mediatico del cavaliere aveva persino lasciato temere il peggio ai più emotivi. Rammento ancora la telefonata profondamente angosciata di un mio collaboratore che mi sollecitava a prendere posizione, io che a sua detta potevo e dovevo, per segnalare i pericoli di una deriva autoritaria. Esagerava certo, ma come non capire gli oscuri presentimenti che le pareti tappezzate da una sola faccia sollecitano in chi ritiene che la democrazia si coniuga con i limiti posti allo strapotere di un unico uomo. Oggi, quell'invasione di manifesti sui nostri muri si ripete. Non puoi non vederli. Ci sbatti contro gli occhi anche se non vuoi. La mia povera Milano sotto i cieli veri di una primavera che si dona e si ritrae, è ferita un'ennesima volta da quella prepotenza in forma di il mio faccione lo ficco dove voglio, perché mi gò i danè. E, a proposito, sarebbe davvero ora che il dentro sinistra smettesse di voltare la schiena della mediocrità della mia città e si rimboccasse le maniche per restituirle l'onore perduto. Ma questa volta l'unto del Signore ha perduto il piglio aggressivo dell'acchiappatutto, sembra una sorta di presidente-gioconda. Qualche critico ha osservato che l'enigma del sorriso della Gioconda dipende dal fatto che si tratta di un sorriso post-mortem. Ma sì! Non sto dando i numeri, osservatene il sorriso enigmatico e lo sguardo fisso ormai privo di passioni, quasi avesse trasceso la propria sostanza corporea per farsi immagine. Non è più un uomo ritratto in un manifesto, è piuttosto un uomo fattosi manifesto. Ha l'espressione ottusa ed inquietante di certi dipinti iperrealisti con la variante che il Berlusconi Iperrealista dà i numeri, algebrici e in percentuale. E' forse stato effetto del lifting? Il lifting ha prevalso sul personaggio? Oppure, il personaggio è oramai un lifting di se stesso? Una domanda mi inquieta: perché gli uomini immagine del cavaliere hanno scelto questa strategia? Che cosa ci vogliono comunicare? Forse tentano di segnalarci che contro l'uomo si può combattere ma contro l'icona no? Questa potrebbe essere la nuova strategia: trasformarsi in icona per sopravviversi. Del resto come segnalava un brillante anatomopatologo inglese, i faraoni si imbalsamavano da morti per traghettare nell'eternità, oggi ci si imbalsama da vivi per tentare di ottenere lo stesso scopo. Naturalmente all'uomo Berlusconi auguro lunga e prospera vita ma, se riuscisse a sopravvivere politicamente all'attuale disastro, non so se troverei più il tempo di parlare male di lui perché sarei troppo occupato a parlare peggio di chi gli avesse regalato la sopravvivenza. Moni Ovadia L'UNITA' 10/04/2004 |
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