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Moni Ovadia

Chi controlla il passato...

La cosa migliore che un uomo possa fare per se stesso e per il prossimo è, a mio parere, quella di svolgere una costante autocritica verso i propri pensieri e le proprie azioni. Ho avuto modo di capirlo nel corso di un lungo e fortunato percorso analitico che, con buona pace di tutti gli antiEdipo, mi ha consentito di fare una discesa nel mio Acheronte personale per risalirne con una consapevolezza dei miei limiti e delle mie pessime inclinazioni e quindi accedere ad una visione meno miope delle debolezze e delle perversioni altrui. Se ciò vale per un essere umano, vale a maggior ragione per un gruppo sociale, specialmente se tale gruppo ha responsabilità decisionali che coinvolgono interi paesi o aree geografiche sovranazionali. La grande tragedia greca f in qualche misura una forma di psicoanalisi collettiva a cielo aperto esperita dall'intera polis. Da quell'attitudine è uscita una cultura grandiosa a cui ancor oggi facciamo riferimento. I grandi sapienti di ogni latitudine, si sono sottopposti al vaglio di una profonda diffidenza verso le proprie vanità e le tentazioni auto celebrative fino alla lucidità estrema. Così si rivolgeva al Grande Spirito in una celebre preghiera, il capo sioux Yellow Lark: “...Cerco forza, non per essere superiore a miei fratelli, ma per essere abile a combattere il mio più grande nemico: me stesso. Fa che io sia sempre pronto a venire a Te con mani pulite ed occhi diritti così che quando la vita svanisce come la luce al tramonto, il mio spirito possa venire a Te senza vergogna”.

Chissà se George W. Bush, Tony Blair o il nostro cavaliere nazionale hanno mai pensato a una simile autocritica. Per quanto ci è dato constatare, non c'è il minimo segno, non dico di ravvedimento o resipiscenza, ma neppure di vago dubbio nei confronti dell'avventura militare irachena che sta rivelando ogni giorno di più la sua natura catastrofica. Questa guerra illegittima fondata sulla demolizione della legalità internazionale, sulla prepotenza autoreferenziale di un gruppo di potere economico-militare che pretende di essere l'America tout court, il bene per antonomasia, più si prolungherà, più produrrà guasti e piaghe al tessuto delle relazioni politiche ed umane di diverse culture che invece hanno tutte le ragioni per capirsi, rispettarsi e collaborare. Anche illustri esponenti del pensiero moderato cominciano a rendersene conto con angosciato seppur tardivo realismo. Ma chi pensa che il ritorno dello spaventoso pantano iracheno nell'alveo dell'Onu sia sufficiente a riportare l'equilibrio e la pace in quell'incandescente scenario, si illude. C'è bisogno di altro, di molto altro. Il crollo e la sconfitta dell'Unione Sovietica ha provocato un'autentica ubriacatura nei ceti più conservatori e reazionari dell'Occidente che si sono dati a diffondere la buona novella del trionfo dell'Impero del bene su quello del male con uno schematismo degno del più vieto ideologismo. Ora, non c'è nulla di più falso. Gli usignoli di quest'ultima frontiera del buon zio Sam, potrebbero leggere con profitto un libro assai istruttivo dal titolo “Il libro nero degli Stati Uniti” di William Blum – funzionario del dipartimento di stato Usa – che lasciò l'incarico nel 1967, a trentaquattro anni, per protesta contro l'operato del suo paese in Vietnam. Naturalmente malgrado il tentativo dei fanatici a stelle e strisce di casa nostra di etichettare come antiamericani tutti gli oppositori del cow-boy texano che siede alla Casa Bianca, Blum è anch'egli cittadino americano. Nella sua straordinaria opera ci mostra attraverso un'accuratissima analisi documentale come, con tutta evidenza, l'anticomunismo sia stato altrettanto, se non più nefasto, del cosiddetto comunismo o socialismo reale, senza mai peraltro pagare il benché minimo dazio per le proprie infamie. E' la mia personale ancorché utopica convinzione che fino a quando non apparirà sulla scena politica un presidente Usa della Statura di un F.D. Roosvelt o di un Robert Kennedy che apra un processo autocritico profondo nei confronti del furore anticomunista e dei suoi crimini noi continueremo a cadere in paludi come quella irachena. L'anticomunismo ha perduto l'oggetto del proprio odio ma non la sua carica di violenza che oggi si esercita contro i cosiddetti stati canaglia, cioè tutti quei regimi autoritari o dittatoriali non proni all'egemonia economica dei potentati industriali e finanziari statunitensi. E' questo furore che ha finito per corrompere i valori più fondanti di ogni autentica democrazia e che ha addensato nubi fosche sul futuro di tutto il pianeta. Con grande intelligenza, Blum ha aperto il suo libro con un'importante epigrafe che mi sembra necessario riportare a titolo di riflessione e di ammonimento: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”. (G. Orwell, 1984).

Moni Ovadia – L'UNITA' – 17/04/2004


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