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Riscoprire il 25 aprile |
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Chi meglio di lui poteva parlare a noi giovani del significato della Liberazione? Luciano Segre era stato, giovanissimo, partigiano nelle valli del Piemonte. Il suo racconto e la sua interpretazione dei valori della lotta antifascista fu straordinario e si impresse nelle menti e nei cuori di coloro fra noi che, per curiosità e sensibilità, seppur adolescenti, erano pronti a recepire il significato profondo di quell'epopea. L'esperimento non fu ripetuto. Probabilmente la lectio mirabilis del professor Segre era troppo di sinistra per venire istituzionalizzata. Ma per quanto mi riguarda, il seme era stato gettato. Quel racconto appassionato saldava in me, l'uomo, il cittadino, l'ebreo e il "militante" di una Weltanswchauung etica, democratica e socialmente egalitaria del mondo e delle relazioni fra esseri umani. Le parole di quel mio maestro, accendevano davanti a me la luce di quella che è stata la pagina più alta della nostra storia unitaria, dell'Europa democratica e, in ultima analisi, anche del mondo che per la prima volta si è visto unito, pur con tutte le contraddizioni e lacerazioni, in una visione condivisa che avrebbe portato alla promulgazione della Carta di Ginevra sui diritti universali dell'uomo. La lotta eroica contro la barbarie nazifascista, ricettacolo feroce di concezioni di morte e di sopraffazione, di odio e di discriminazione, ha fondato quell'idea di universalità nella giustizia e nella pari dignità. Le Resistenze di ogni parte del globo, hanno dato alla parola libertà la pregnanza del suo valore intrinseco. Quelle lotte hanno avuto come protagonisti le classi popolari che, con una vastità e profondità mai viste prima, divengono artefici della propria storia e promuovono i concetti di emancipazione, di equità e di giustizia sociale come costitutivi di ogni autentico processo di liberazione. Nella
nostra Europa che, con la Resistenza, poneva le basi della sua
futura unità, la Liberazione fu il risultato delle lotte
dei popoli occupati con il fondante contributo dell'Armata Rossa
e dell'America. Oggi è più che mai importante
ribadire che in nessun modo i terribili crimini di Stalin possono
offuscare l'eroismo dei combattenti sovietici e delle popolazioni
dell'Urss il cui contributo di sangue fu di oltre venti milioni
di morti, così come è importante ricordare che
l'America che combattè il nazifascismo fu quella di
Roosevelt, il presidente del New Deal che promosse uno dei più
luminosi esperimenti di democrazia radicale basata su una forte
idea di giustizia sociale. Quell'America, cui rimaniamo debitori
e che esiste ancora nel cuore di milioni di suoi cittadini,
ripudiava l'anticomunismo viscerale, piaga ideologica che in
seguito porterà le amministrazioni conservatrici Usa a
sostenere, con la scusa della libertà, tutte le più
brutali dittature fasciste nel secondo dopoguerra, in ogni angolo
del mondo. Era l'America della canzone This land is my land,
this land is your land di Woody Guthrie il bardo che, venendo
a combattere oltreoceano, aveva scritto sulla sua chitarra:
this machine kills fascists. La sua chitarra "uccideva"
i fascisti perché cantava la libertà,
l'uguaglianza, la giustizia, la gloria della povera gente. Il governo neocon di George W. Bush con i suoi alleati, ha precipitato il pianeta in una mal dissimulata forma di neocolonialismo con una guerra sciagurata costruita su un cumulo di menzogne. Ha travolto l'idea già fragile ed instabile di legalità internazionale, per sostituirla con un equazione perversa: il più forte è il più buono. Con questa logica folle pretende di combattere l'autentico pericolo dell'integralismo islamico che si nutre di un antagonismo assoluto. Il nostro governo che si è buttato a corpo morto in questa deriva neocoloniale, è lo stesso governo che attraverso il dominio dei media ha dato la stura ad un revisionismo sconcio e strumentale che mira a riabilitare il fascismo, a svilire il significato della Resistenza estrapolando e distorcendo surrettiziamente alcuni aspetti per gettare fango sul suo intero valore. Noi democratici e antifascisti, siamo oggi e in futuro chiamati a rinnovare le fonti del 25 Aprile, a contrapporci con fermezza a chi le vuole avvelenare perché ad esse dobbiamo tornare ad abbeverarci se vogliamo ritrovare nella pienezza il cammino della pace e della giustizia da consegnare alle future generazioni. Moni Ovadia IL SECOLO XIX 26/04/2004 |
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