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Nemici di se stessi |
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Gli anni talora trascorrono come secoli e il passare del tempo, anche solo nel volgere di pochi mesi, sembra volerci trasportare in un'era diversa. Così è stato per noi. Nel giro di qualche stagione, siamo passati dal prima al dopo Berlusconi. I più fragili fra coloro che assistono alle perturbazioni climatiche nell'ecosistema democrazia provocato dal tifone azzurro, hanno ancora l'aria sgomenta e il volto dissestato di chi non vuole proprio crederci. Una simile reazione ha sconvolto il tempo dell'uomo nel travagliato scenario del Medioriente con l'arrivo combinato del ciclone Bush e di quello Sharon. Il grado di devastazione che avrebbero prodotto, non era prevedibile e, come spesso accade, è stato più alto delle aspettative ottimistiche. Anche prima del loro avvento, la situazione non era facile ma vi erano spazi di manovra per le trattative. Quando Barak era al governo, le trattative avevano avuto una chance importante e, anche se erano fallite, avrebbero potuto essere rilanciate. Barak, pur essendo un soldato, aveva preso la decisione unilaterale di ritirarsi dal pantano del Libano e aveva una visione politica che lo aveva portato ad accettare i suoi interlocutori con i lori limiti e difetti. Il candidato laburista Amram Mitzna, purtroppo sconfitto alle ultime elezioni israeliane anch'egli un ex generale era pronto al ritiro unilaterale dalle colonie e dai territori occupati nel '67. Questa occupazione, a mio parere rimasta la causa principale, anche se non unica, del disastro israelo-palestinese per creare le precondizioni ad una soluzione negoziale. Mitzna nel suo programma non rinunciava per questo a combattere il terrorismo, ma non era disposto a cedere al suo ricatto, collocandosi così nella scia del progetto di Rabin. Sharon non ha nessuna idea negoziale. Concepisce solo la resa incondizionata dei palestinesi ed opera coerentemente per ottenerla a qualsiasi prezzo ignorando persino il contesto allargato in cui si trova ad operare. La lotta senza quartiere che dice di volere condurre contro il terrorismo, non mira solo alla sconfitta del terrorismo, ma anche ad un regolamento del conflitto con i palestinesi basato sull'annessione di una buona parte delle terre palestinesi della Cisgiordania per mezzo del cosiddetto muro della sicurezza e la riduzione di Gaza e delle restanti isole di terra palestinese a dei bantustan totalmente dipendenti dalla volontà dei governi israeliani. La guerra al terrorismo è solo una parte del suo programma e neppure la principale. Infatti i guasti più terribili, Sharon li procura ai civili palestinesi inermi, alle loro abitazioni e alle loro sempre più disperate condizioni di esistenza. Se del resto come ogni persona dotata di un barlume di buon senso capisce, il terrorismo è alimentato dall'odio, l'attuale politica di Sharon non può che portare ossigeno al fuoco terrorista e più l'ambiguo Arafat sta aggrappato alla sua poltrona, più i kamikaze colpiscono e più il primo ministro trova legittimazione a mettere in atto la sua vera strategia: quella della grande Israele in versione riveduta e corretta. Dopo gli ultimi tragici avvenimenti che hanno visto l'ennesimo massacro di civili palestinesi, molti commentatori sembrano non capire che cosa si proponga Sharon con le sue deflagranti azuoni ad effetto indiscriminato. Per cercare di accedere ai meandri mentali di ogni persona, bisogna indagare la sua formazione, conoscere le sue passioni. Le poche e rigidissime idee di Ariel Sharon vengono dal sionismo revisionista di Jabotinski che aveva una visione nazional-militarista della costruzione dello stato sionista in tutta la Israele biblica. Il padre di questa destra revisionista e i suoi discepoli, furono grandi ammiratori dei fascismi, in particolare di quello mussoliniano e dei suoi sistemi. Ovviamente furono fieri avversari quando nemici del sionismo laburista. I leader di quest'ultimo, invece nel '47 accettarono la divisione del territorio mandatario della Palestina in uno stato ebraico e uno stato palestinese con Gerusalemme capitale delle due nazioni. I revisionisti e i loro discendenti più che odiare i palestinesi che in fondo non odiano affatto in quanto tali e che vorrebbero solo trasferire in Giordania o faut de mieux tollerarli come minoranza ininfluente in Samaria e Giudea, odiano il laburismo e tutto quello che rappresenta. Il più grande nemico di Sharon si chiama gli accordi di Oslo. Pur di distruggere quella memoria con tutto ciò che rappresenta, egli è disposto a trasformare Isreale in una fortezza governata da militari, tecnocrati e coloni fanatici e i palestinesi in profughi stanziali e disperati. Paradossalmente Sharon odia le radici più profonde della storia del suo stesso Paese. Il grande Sergio Staino con la sua vignetta apparsa sul nostro giornale il 20 maggio lo ha espresso meglio di ogni analista politico. Sui tratti di quella scenetta e sulle poche parole che la spiegano (Sharon, perché odi tanto Israele?), dovremo meditare a lungo se vogliamo aiutare i due popoli ad uscire dall'orrore e dal dolore. E personalmente mi appare sempre più chiaro che possono uscirvi solo insieme. Moni Ovadia L'UNITA' 22/05/2004 |
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