Gli ebrei in ogni
angolo della terra in cui erano dispersi, ad ogni celebrazione
del Pesakh (la Pasqua ebraica che celebra l'uscita dall'Egitto),
hanno ripetuto con ardore una frase profetica: “ Leshanà
habaa biyrushalaim, l'anno prossimo a Gerusalemme!”.
Per due millenni
questo voto era rivolto a una terra remota, irraggiungibile,
terra agognata della redenzione messianica. Tuttavia, per
quanto lo spasimo per il ritorno a quel luogo unico sia stato
espresso in termini di fede, coloro che lo hanno sentito nel
corso dei secoli, lo hanno vissuto non nei termini di vuota
litania, ma come reale aspirazione. Alla fine dell'Ottocento
il senso di quella celebre frase cambia all'improvviso, irrompe
nella storia degli ebrei l'idea sionista, che apre la prospettiva
di un ritorno concreto da attuarsi in termini politici,
concreti. Il Sionismo si propone come un risorgimento degli
ebrei. Quella ebraica diviene una questione nazionale, che in
quanto tale, è anche una soluzione al problema
dell'antisemitismo. I tratti messianici espressi dal voto
pasquale assumono la connotazione ideologica che sarà
importante nella costruzione dello Stato di Israele e
nell'elaborazione dell'ebreo nuovo suo cittadino. L'idea dei
padri fondatori è che l'israeliano sia diverso dall'ebreo
ubiquo, fragile, nevrotico e perseguitato dalla diaspora. Il
nuovo ebreo sarà forte, orgoglioso e per costruire la
nazione farà il contadino e il soldato. I Ben Gourion e
le Golda Meier ritenevano che il destino finale degli ebrei fosse
quello di venire tutti nella terra promessa divenuta una patria
moderna e sicura, per fare anche degli ebrei un popolo
normale. L'ideale sionista, fatto di un misto di sentimento
reale e di retorica ideologica, tiene più o meno fino alla
guerra del Kippur in seguito alla quale cade insieme il mito
dell'invincibilità di Tsahal ( l'esercito israeliano),
anche il mito del sionismo. Gli israeliani cominciano a
percepirsi come un kibbuz galuyot ( collettivo di diaspore), si
sfrangia un certo monolitismo, e, in un brevissimo lasso di
tempo, cede il potere incontrastato dei laburisti a base
culturale ashkenazitia ( ebraismo europeo centro orientale) e
avanza, ricco di nuova energia, il fronte della destra che ha la
prevalenza del suo elettorato nei sefarditi ( ebrei del levante
mediterraneo e dei paesi medioorientali), cittadini più
poveri, di recente immigrazione, spesso trattati come israeliani
di serie b. Dopo la guerra del '67, con il rientro degli ebrei
in tutti i territori dell'Eretz Israel Biblico, la destra
comincia a cavalcare l'idea della grande Israele e innesta la
propria matrice ideologica revisionista, dai tratti
nazional-reazionari, sul nascente ceppo dell'ultranazionalismo
religioso, talora intriso di fanatismo. Il movimento dei
coloni si identifica in gran parte in questo cocktail politico
religioso segnato da tratti di visionarietà messianica. La
crisi del sionismo classico convive negli ultimi lustri con il
nazionalismo reazionario del Likud, i cui moderati perdono
terreno a favore delle alleanze con la destra
“ultraortodossa”. Questo fronte esprime dal '77 in
avanti diversi governi fino al Governo Sharon. Incastrato in
un cul de sac dalla mancanza di sbocchi della sua forsennata
politica militarista e dalla pressoché universale condanna
del “muro” così come l'ha voluto lui, con lo
scopo di depredare terra e vita ai palestinesi, il Generale, che
sa gestire con lungimiranza la propria carriera, ha rispolverato
l'armamentario propagandistico del mito sionista. Con tanto di
bandierina ha accolto personalmente duecento ebrei francesi che
hanno fatto l'alyà, la salita verso Israele. Solitamente
sono funzionari governativi che accolgono i nuovi olim (
immigrati). Ma Sharon non poteva perdere l'occasione, si tratta
di ebrei che rappresentano la créme dell'ebraismo europeo,
inoltre c'è ancora aperto l'affaire con Chiraq, come
lasciarsi sfuggire opportunità di giocare al bastone e
alla carota.
Con la sinistra
blandisce la grandeur dell'orgogliosa douce France: “ mi
complimento con l'impegno che monsieur le president Jacques
Chiraq profonde nella lotta alla piaga dell'antisemitismo”. Con
la destra il primo ministro tiene il radioso ideale sionista, e
pronuncia la sua frase celebre agli olim francesi:”solo qui
troverete liberté, egalité, fraternité!” L'alyà
degli ebrei francesi, inquieti per i segnali di intolleranza
antisemita, il dramma dei palestinesi, il terrorismo suicida in
questa messa in scena sono sullo sfondo, Sharon recita da
propagandista la farsa della propaganda pro domo sua. Oggi
duecento ebrei francesi vengono a stabilirsi in Israele, lo
scorso anno dai paesi dell'est Europa sono emigrati in Germania
più ebrei di quanti ne siano andati a “Gerusalemme”,
circa cinquecentomila israeliani risiedono stabilmente
all'estero: Non c'è ideologia che tenga. Gli ebrei, finché
rimarranno tali, andranno e verranno. Perchè questo
significa essere ebrei: attraversare.
Moni
Ovadia – L'UNITA' – 31/07/2004
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