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IL PORTO DEI RAGAZZI
I senza famiglia |
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La famiglia è il pilastro identitario di quella che schematicamente viene definita civiltà giudaico-cristiana. La formazione dell'identità ebraica si compie all'interno di un nucleo familiare primario staccatosi dalla cultura tribale. Il quadro in cui si svolge il processo trascorre dall'esplosione di riso all'annunciazione di una tragedia che non si compirà. Il primo atto ci racconta di tre arcangeli sotto le spoglie di viandanti stranieri che annunciano ad Abramo oramai centenario che avrà un figlio dalla moglie Sara novantenni e sterile da sempre. All'annuncio, il padre dei monoteismi si rotola per terra dalle risate e anche Sara, la matriarca, più discretamente ridacchia rimbrottata per questo dall'arcangelo anziano. Il secondo atto ci presenta la parusia dell'Onnipotente che viene a constatare la nascita miracolosa sollecitando i vetusti genitori che hanno tanto riso a chiamare il miracoloso nascituro Isacco, in ebraico Itzkhak che significa £colui che riderà. Il terzo atto si apre sulla tragedia del sacrificio. Abramo e Isacco, complici, percorrono tutta la via dolorosa che porta al monte che fungerà da scenario. Sara è abbandonata alla più straziante angoscia, ma la tragedia si conclude con un happy ending: il sacrificio viene evitato in extremis da un intervento celeste o interpretando in chiave laica dalla voce interiore che guida Abramo. Da quel momento il padre non è il più padrone del figlio, ma è responsabile solo della sua formazione.
Ciò che viene sacrificato sull'altare del monoteismo è la potenziale egolatria di Abramo che rischiava di fare del parto miracoloso un idolo. La storia mira a renderci consapevoli dello fatto che nessuno, se disposto all'ascolto interiore e all'accoglimento dell'impossibile, è troppo vecchio per costruire il più ardito dei progetti. La storia familiare cristiana si svolge in un contesto diverso che coniuga il candore e la purezza di una giovane madre disposta ad accogliere lo sconcerto del miracolo con la modestia di un padre terreno pronto a testimoniare il concepimento celeste che porterà alla nascita del Cristo. Dio si fa uomo, inviato dal Padre celeste, per il compimento di un magistero che porta a un sacrificio che non verrà scongiurato perché il suo scopo è la fondazione di una prospettiva salvifica. Entrambe le storie, pur nelle loro salienti differenze, ci raccontano tuttavia di una piena assunzione di responsabilità di un'intera famiglia. Tutta terrena quella ebraica, terrena e celeste quella cristiana. Proviamo a rinunciare al piano della fede. Facciamo riferimento al valore simbolico di queste fondanti vicende familiari e in generale ai processi di simbolizzazione che esse attivano per capire a che punto ci troviamo rispetto al paradigma delle nostre identità. Se consideriamo l'Italia come una famiglia, ci appare abbandonata alla deriva, se la guardiamo in veste di madre come Bertolt Brecht fece in tempi tragici con la Germania, si comporta come la madre della celebre canzonetta Balocchi e profumi che si dà alla bella vita mentre i suoi figli deboli e malati languono. Il padre, dal canto suo, è il più malconcio. La sua legge si è dissolta. Il suo bagaglio di valori basati sulla responsabilità e sul valore non negoziabile della legge stessa è disperso. L'arbitrio del potere si è sostituito alla giustizia, il mendacio, la vanità e la frivolezza sono divenute virtù cardinali e sono esibiti a modello di condotta da coloro che per posizione generazionale dovrebbero assumere il ruolo dei padri. Il capo del governo è in preda a un delirio di onnipotenza alimentato da un ego ipertrofico che degenera nell'egolatria, mentre la sua corte di sedicenti politici, nella migliore delle ipotesi, ricopre l'incarico di coppiere dell'autonominatosi faraone per grazia delle televisioni e volontà del denaro (il proprio). E mentre si consuma questa tragica farsa e il Paese precipita nella peggiore crisi che abbia sperimentato nel dopoguerra, cosa fanno i padri dell'opposizione invece di colmare la voragine di perdita di senso?
Si abbandonano a battibecchi da ragazzaglia ebbri di narcisismo e personalismo senza pudore, mostrando indifferenza e disprezzo per gli elettori e la società. Non c'è da stupirsi del processo di degrado di un tessuto nazionale allorquando il microcosmo familiare e il macrocosmo sociale che sono l'uno specchio dell'altro abbandonano il cammino della consapevolezza e della responsabilità a favore della celebrazione autoreferenziale del vuoto subspecie di televendita, la famiglia dedita ala bildung dei figli, a misurarsi con i piani della realtà e alla costruzione di futuro è prova di voce e di visibilità, mentre trionfa una famiglia da demi-monde mediatico che fa scempio e mercimonio delle proprie relazioni in simulazioni di conflitti dove la volgarità è usata come corpo contundente o in esibizione di buoni sentimenti viscosi come la melassa. In un quadro così desolante nessun maquillage a base di propaganda o demagogia può mascherare il degrado di un intero sistema. Questo si configura come il fallimento di una generazione politica che non ha saputo accogliere e trasformare la grande eredità ricevuta dall'antifascismo e dai padri costituenti per l'edificazione di una società libera, democratica, giusta e solidale. Il problema tuttavia non è politico ma psicanalitico. Il padre autoritario e la madre iperaffettiva e castrante tendono a lasciare il posto a genitori che condividono l'ebbrezza dell'irresponsabilità per garantirsi un edonismo del presente abbandonando il futuro alla rapinosa logica dell'interesse economico. La famiglia perde il proprio ruolo fondante per diventare il mattone forato di un edificio sociale che non ha più senso abitare. Il nostro Paese continuerà a precipitare sempre più in basso se non ci rimboccheremo le maniche per individuare le patologie profonde che ne corrompono moralmente le fibre vitali.
Moni Ovadia L'UNITA' 03/01/2005 |
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