Le
elezioni che si sono svolte nei territori dell'Autorità
nazionale palestinese sono state e rimarranno un grande momento
nella storia del Medio Oriente. Il valore di questo risultato
elettorale non sta solo nella nuova fragile prospettiva di pace e
nella vittoria politica di un moderato qual è Abu Mazen,
quanto nel grande senso di maturità democratica e di
responsabilità politica di cui ha dato segno l'elettorato
palestinese.
Un popolo per quasi quarant'anni in
stato di occupazione, prostrato da una devastante crisi
economica, umiliato nella propria dignità, vessato nei più
elementari aspetti della vita quotidiana, martoriato dalle
violente rappresaglie dell'esercito israeliano che hanno causato
la morte di un grande numero di civili innocenti spesso
fanciulli, raggirato dai governi arabi, abbandonato dalla
comunità internazionale anche a causa della autolesionista
scelta armata di una parte della sua dirigenza, è comunque
riuscito a dare una lezione di civiltà politica mettendo
in atto un processo elettorale che in quelle condizioni si può
definire impeccabile. I palestinesi vogliono la pace con gli
israeliani così come la grande maggioranza dei cittadini
israeliani, malgrado i terribili lutti inferti dal terrorismo di
Hamas, Jihad e Al Aqsa, vuole la pace con i palestinesi. In
questo momento, a mio parere, la palla passa nel campo
dell'Occidente e della sua cultura politica e segnatamente nelle
mani del quartetto che ha promosso la disastratissima road map.
Le grandi istituzioni sovranazionali e le grandi potenze, in
particolare gli Stati Uniti, devono mostrarsi all'altezza dei
palestinesi. Se sapranno dare risposta concreta e piena alle
legittime aspirazioni di quella gente ad una vera nazione nel
pieno della sua dignità, nei confini del '67 con
Gerusalemme est come capitale, con una onesta composizione della
dolorosa questione dei profughi del '48 basata sul riconoscimento
dello status ed un giusto risarcimento per le perdite e le
sofferenze subite, il modello occidentale di democrazia sarà
credibile. Altrimenti, per l'immagine dell'Occidente presso il
mondo arabo, dopo il micidiale errore della guerra preventiva
contro l'Iraq con il suo nefasto carico delle Abu Ghraib e delle
Falluja, sarà la débâcle. Quando agli
israeliani dovrebbero avere il coraggio della generosità
al fine di non farsi trascinare nel gorgo dell'iperreazione
militare al primo atto di violenza dei nemici della pace e
continuare le trattative nella consapevolezza che libertà
e diritti per i palestinesi porteranno contestualmente sicurezza
e pace per gli israeliani. Abu Mazen è un accorto ed abile
politico, ma non è un taumaturgo, non è lecito
chiedergli l'impossibile, bisogna sostenerlo con determinazione
anche nei momenti più difficili. Il terrorismo islamista e
il fanatismo nazional-religioso dei colini estremisti faranno di
tutto per sabotare ogni accordo, oggi sia la Palestina che
Israele rischiano la guerra civile. Solo una lunga e profonda
trattativa che faccia proprie le ragioni della pace può
fermare il fanatismo e per l'ebraismo come l'islam la pace è
bene supremo.
Moni Ovadia
IL SECOLO XIX 11/01/2004
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