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Moni Ovadia
L'UNITA' – 06/04/2002

Undicesimo: Distinguerai!

Il maestro di Talmud Rabbi Yokhanan aveva come khaver (compagno di studi), suo cognato Resh Takish.

Il Talmud si studia sempre in due con un'attitudine reciprocamente polemica – talora aspramente polemica – per vivificare perpetuamente il pensiero ed impedirgli di cadere nell'autocompiacimento idolatrico. Un giorno Rabbi Yokhanan, non trovando argomenti a valido sostegno delle proprie ipotesi da contrapporre alle osservazioni critiche di Resh Takish, abbandonò il terreno del confronto e ricordò al proprio khaver i suoi cattivi trascorsi. Resh Takish, in passato, era stato un bandito. In seguito aveva fatto teshuvà (ritorno) riabbracciando i valori e la prassi dell'ebraismo e aveva quindi sposato la sorella di Rabbi Yokhanan. La cattiveria di Rabbi Yokhanan colpì a tal punto Resh Takish, che sprofondò in uno stato di prostrazione che lo portò a morire di crepacuore. Rabbi Yokhanan si cercò allora un nuovo khaver per proseguire lo studio del Talmud. Ma dopo un mese che studiava col suo nuovo compagno, un giorno sbottò: “Perché mi stai facendo questo? Perché? Quando ero con Resh Takish ogni volta che io proponevo un'ipotesi lui portava almeno venti argomenti che la mettevano in dubbio. Tu, ogni volta che avanzo un'idea, trovi almeno dieci ragioni a conferma del mio punto di vista. Perché mi fai questo?”. Anche Rabbi Yokhanan divenne preda di una terribile depressione. Si stracciò le vesti e si abbandonò al degrado. I maestri della sua epoca ebbero pietà di lui, chiesero all'Eterno di abbreviargli le sofferenze e il Santo Benedetto lo accolse a sé.

Questo aneddoto mi è tornato alla memoria sollecitato da due importanti scritti riportati della nostra stampa negli ultimi giorni: uno è lo straordinario articolo di Tahar Ben Jelloun, il grande scrittore marocchino, apparso su Repubblica e l'altro è la bella ed appassionata lettera di Gad Lerner al Manifesto. Entrambi i contributi, sollecitano amici, compagni di strada ed avversari a non abbandonarsi alla deriva del pregiudizio e della sua compagna, la schematizzazione ideologica. Ben Jelloun e Lerner, con chiarezza e semplicità partecipe, ci invitano a non abbandonare i processo critico-cognitivi nei confronto della dolorosa questione mediorientale mettendoci in guardia contro i pericoli della logica di schieramento. Mi riconosco nelle parole di questi due scrittori perché da qualche anno, pur tenendo ferme le mie posizioni ideali, mi sento impegnato a ricollocare l'essere umano con la fragilità, al centro delle mie riflessioni e delle mie indagini di saltimbanco e di cittadino. Fa bene Gad Lerner a ricordare ai pacifisti che, nella loro nobile lotta per i diritti dei popoli e in particolare del vessato popolo palestinese, non devono dimenticare le ragioni degli israeliani le cui angosce di fronte ai massacri di innocenti messi in atto dai terroristi e le bombe criminali dei kamikaze, potrebbero far loro pensare ad una nuova strategia per liquidare lo stato di Israele al punto che la potenza dell'esercito di Israele, potrebbe diventare nulla davanti ad una così brutale violenza. Detto questo, vorrei però sollecitare l'amico Gad a ricordare a certi esponenti della nostra comunità, con lo stesso calore e la stessa autorevolezza, che i critici della politica del governo Sharon non sono sillogisticamente nemici del popolo ebraico. Pacifisti come Uri Avneri, hanno il sacrosanto diritto di essere rispettati per le proprie opinioni ed è sciagurato cercare di tappare la bocca a chi non la pensa come loro con accuse infamanti come nazista o antisemita. Tutti siamo tenuti, per rispetto delle nostre sofferenze, a fare contestualmente nostre le sofferenze degli altri. L'orrore del terrorismo non ci può far chiudere gli occhi davanti al lungo patire del popolo palestinese. Ebrei e non ebrei sono tenuti all'osservanza dell'”undicesimo” comandamento: Distinguerai!

Moni Ovadia – L'UNITA' – 06/04/2002


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