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Moni Ovadia

De profundis per il teatro?

ll teatro rischia di diventare nell'immediato futuro un'attività in estinzione da proteggere o più probabilmente da imbalsamare per mantenerne il guscio e riempirlo di televisione. I nuovi Ruggeri, Gassman, Duse, Bernhardt, Olivier andando di questo passo saranno i protagonisti dei reality show incoronati dall'alloro dell'Auditel. Già si vedono sgambettare sui palcoscenici star e starlet del piccolo schermo dagli improbabili talenti. Non paghe di avere contribuito a provocare l'inesorabile decadenza del nostro cinema un tempo gloriosissimo, si preparano a recitare un involontario de profundis anche per il teatro. Così la metastasi televisiva si auto alimenterà a costi sempre più bassi con l'uccisione della cultura delle arti sceniche e potrà avere anche ottimi attori per le sue tendenzialmente ignobili fiction che sul piano della qualità sono al novanta per cento a livello da filodrammatica. A partire dal dissennato uso dell'illuminazione da showroom di mobilificio. E dire che siamo il paese dei Storaro, dei Delli Colli e dei Rotunno. Così con deliberato cinismo si seppellisce una delle più prestigiose tradizioni dell'artigianato e dell'arte nazionale. Gli esponenti politici del nostro governo che sbandierano l'amor patrio come se fossero le chiappe della mitica Roberta degli slip, dei grandi valori espressi dal genio italico se ne fottono bellamente. Il loro rigore nei confronti della finanza pubblica li ha portati a compiere il beau gèste della riduzione del FUS (fondo unitario per lo spettacolo), fondo già esiguo, col risultato di fare il solletico al risanamento del disastratissimo bilancio nazionale, ma quello assai soddisfacente di fottere quei teatranti bastardi che tanto sono quasi tutti di sinistra e finocchi. Francamente non c'è da stupirsi, la cultura della nostra destra, con le dovute e lodevoli eccezioni, non è lontana dal celebre adagio del feldmaresciallo Goering: “quando sento la parola cultura metto le mani alla pistola”, naturalmente i tempi sono cambiati e Berlusconi mette le mani ai mezzi della sua potentissima sottocultura per portare il paese verso la soglia inferiore di ogni decenza in tutti i campi che attengono al sapere ed alla conoscenza. Solo se c'è da guadagnarci in immagine elettorale, come nel caso del restauro del Teatro alla Scala, allora non si bada a spese. Ci si domanda a che serva la grande kermesse, se poi gli esseri umani che il teatro lo creano con le loro emozioni e i loro talenti vengono ridotti all'impotenza. Ma l'inesistenza di un'autentica politica culturale della nostra destra è risaputa da sempre. Ciò che preoccupa è che troppi esponenti dello schieramento democratico del centro sinistra considerano i problemi della conoscenza e della cultura secondari o addirittura ininfluenti. Bizzara attitudine se si considera che la valanga azzurra del Polo si è affermata soprattutto grazie ad una martellante campagna “culturale” che ha fatto degenerare lo stesso tessuto antropologico della nostra società. Per questa ragione la sua vittoria elettorale è stata così travolgente. La sinistra ha progressivamente disertato il campo ed ha permesso che il nostro paese divenisse non una democrazia governata da un legittimo rassamblement conservatore, ma preda di un'eterodossa alleanza decisa a sovvertire le regole costituzionali per spadroneggiare. Il teatro greco conosce il suo splendore nella democrazia ateniese e con la morte di Pericle la democrazia tramonta e anche il grande teatro va verso il crepuscolo. Il teatro è sempre stato una delle grandi espressioni della libertà e la libertà, come acutamente osservava nella trasmissione televisiva condotta da Corrado Augias Furio Colombo, è un bene fragile anzi fragilissimo, va coltivata con cura e fertilizzata con un humus ricco, non inquinato. Cultura e conoscenza critica sono quell'humus. Senza quei fertilizzanti, libertà e democrazia sono solo un vacuo simulacro.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 05/03/2005


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