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Moni Ovadia

Miracoli sportivi

Il calciatore palestinese Suwan Abbas è diventato un eroe dello Stato d'Israele con un solo goal segnato contro la nazionale irlandese. Quel goal ha salvato la squadra israeliana dall'esclusione. Quarantamila tifosi dello stadio di Tel Aviv lo hanno acclamato come il salvatore della patria. La stampa nazionale e tutto il paese hanno fatto eco a quell'acclamazione. Solo pochi giorni prima, alcuni tifosi razzisti, lo avevano fischiato nello stadio di Gerusalemme perché palestinese. Dopo il goal contro l'Irlanda, hanno dovuto inchinarsi davanti a lui e Suwan, alla fine del match, pensando ai suoi amici ebrei ha generosamente intonato hatikvà, l'inno nazionale israeliano. Potenza del calcio! Bisognerebbe affidare le trattative di pace a cannonieri e commissari tecnici e chissà, forse saprebbero fare meglio dei politici.
Certo il merito di questi miracoli sportivi è in parte del mutato clima politico dopo la morte di Arafat. Abu Mazen è un interlocutore ben visto dal governo israeliano, anche grazie alla sua azione, le violenze dei kamikaze sono quasi cessate. Sharon prosegue con la sua politica di ritiro da Gaza che non dovrà essere sottoposto a referendum e le trattative di pace sembrano proseguire.

Molti miei amici ebrei progressisti, decisamente favorevoli ad un equo accordo di pace fra palestinesi ed israeliani, mi fanno notare che mi sono sbagliato su Sharon, che le mie aspre critiche nei suoi confronti sono state ingiuste, che il suo duro pragmatismo politico-militare, malgrado il terribile prezzo pagato, ha prodotto buoni effetti e che perfino il vergognoso muro della divisione collocato fra i territori palestinesi, alla fine si rivelerà utile al processo di pace. Solo gli stupidi e i fanatici non sono disposti a cambiare le proprie opinioni e ritenendo di non appartenere a quelle categorie, sono pronto non solo a dichiarare di essermi sbagliato, ma sarei persino felice di farlo per esprimere la mia ammirazione a chiunque fosse riuscito nella titanica impresa di conquistare una pace tanto difficile quanto agognata.

Tuttavia, pur riconoscendo che l'arresto dello spargimento di sangue è un fatto di grande portata, non può occultare la permanenza di una prassi devastante per la regolazione onesta e definitiva della questione israelo-palestinese. La rivista di cultura ebraica Tikkun, pubblicata negli USA e diretta dal rabbino Michael Lerner, nel suo numero di marzo-aprile titola in copertina: “While Israel withdraws from Gaza and activists embrace non violence, the West Bank land grab continues”. Ovvero l'esproprio delle terre palestinesi in Cisgiordania prosegue inesorabile come sempre.

La colonizzazione illegale di quelle terre non è mai cessata neppure nelle fasi più attive delle trattative susseguitesi da Oslo in poi. La scorsa settimana la nostra televisione riportava la notizia che il ministro israeliano Sylvan Shalom, ha dato il via alla costruzione di oltre duemila nuovi alloggi nelle colonie suscitando persino la riprovazione del Segretario di Stato statunitense Condoleeza Rice.
Ma il governo israeliano con la scusa della “naturale” espansione della popolazione degli insediamenti, continua con questa prassi ingiusta che, a ragione, è vissuta dalla popolazione palestinese come un'aggressione ai propri legittimi diritti. I volonterosi ed ingenui sostenitori di questa politica - fra cui anche alcuni opinionisti di casa nostra - hanno sollevato e sollevano il polverone della sicurezza ogni volta che qualcuno critica l'infamia della colonizzazione ma si guardano bene dallo spiegare quale relazione vi sia fra sicurezza dei cittadini di Israele e furto delle terre palestinesi. Non lo spiegano perché fra esse non vi è nessuna relazione. Io mi sbaglierò anche su Sharon, ma continuo a pensare che l'unica vera pace possibile sia quella di Ginevra o una consimile raggiunta magari con cautela e gradualità.

Qualsiasi pace deve passare per la cessazione prima e la rimozione poi delle colonie dalle terre palestinesi. Abu Mazen e Abu Ala sono moderati e hanno scelto con decisione l'opzione politica e pacifica ma sono pur sempre membri storici di Fatah e non sono disposti ad una pace che svenda la dignità del popolo palestinese anche perché una simile eventualità segnerebbe il loro inesorabile declino di leader.
Comunque, in attesa di apprezzare i risultati del pragmatismo del primo ministro israeliano, auguro all'eroe della salvezza calcistica di Israele di poter presto cantare insieme all'hatikvà, inno nazionale israeliano, quello palestinese, magari davanti alle bandiere dei due stati quando garriranno al vento fianco a fianco a Gerusalemme capitale condivisa di israeliani ebrei, arabi-israeliani e palestinesi dello Stato sovrano di Palestina.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 02/04/2005


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