Il
Venticinque Aprile è il giorno della Liberazione.
Dovrebbe esserlo per tutti gli italiani ma così non è.
Le ragioni della mancata identificazione di tutto il corpo
nazionale con il senso scaturito dalla Resistenza e
dall'Antifascismo sono molteplici e le principali sono note.
Tuttavia sarebbe indegno rassegnarsi ad uno status quo che
mantiene lacerazioni e ferite in stato di continua suppurazione.
Nel sessantesimo anniversario, dopo un lungo periodo di
inquinamento revisionista nelle forme dello sproloquio mediatico,
è nostro dovere tentare di mettere in moto un processo
culturale per ricollocare i principi in un quadro di riferimento
concettuale più profondo dello scontro di fazioni di
supposta pari dignità come vorrebbero gli eredi mai
pentiti del fascismo nostrano. Sono un ebreo laico, non sono
religioso, ma questo anniversario per me è stato e rimarrà
segnato dal pensiero di un grande cristiano. Giovedì
scorso a Milano, in Duomo, abbiamo celebrato in forma eucaristica
la Liberazione, lo abbiamo fatto grazie alla generosità
dell'arcidiocesi cittadina e grazie alla sensibilità ed al
coraggio del Cardinale Dionigi Tettamanzi. Milano ne aveva
bisogno perché ha patito negli ultimi anni, lo sfregio del
degrado culturale e spirituale soprattutto in quanto medaglia
d'oro della Resistenza. Le parole per il rito ce le ha donate,
quale altissimo testamento spirituale per un futuro di autentica
libertà, Padre David Maria Turoldo nel suo straordinario
scritto liturgico Salmodia della Speranza. Il testo
teatrale è seguito da un saggio dello stesso Turoldo che,
a mio parere, rappresenta una delle riflessioni più
necessarie e attuali che mi sia capitato di leggere nella pur
vasta letteratura antifascista e resistenziale: Parlo per
amore verso i morti, perché non si possono tradire
impunemente i morti, non si possono dimenticare. Non dico tutti i
morti, che è cosa priva di senso, ma determinati morti,
numerosi come i condannati a morte d'Europa e d'Italia, che sono
la testimonianza più viva da cui ho attinto motivo di
sperare, da cui ho avuto il materiale veramente incandescente
della Salmodia della Speranza. Dunque i morti non sono
tutti uguali, essi hanno diritto alla pietà e al pianto
dei loro congiunti ma il significato e il valore delle loro morti
sono definitivamente diversi. È bene che ce lo ricordiamo
perché, come ci suggerisce il grande poeta Giovanni
Raboni, la comunità umana è una comunità di
viventi e di morti al punto che, se il senso della morte è
chiaro in noi, quello della vita si illumina. Prosegue Turoldo:
Celebrare la Resistenza è un nostro dovere, non come
atto evocativo ma come atto di testimonianza perenne; perché
si è attraversata la tragedia, si invoca la libertà:
libertà di credo, libertà di agire, libertà
di morire. La morte per amore davanti alla morte per odio.
Ecco la differenza che indica il sacerdote David illustrandola
con le parole del falegname viennese Franz Mager di 47 anni, uno
dei tanti condannati a morte solo perché seppero
scegliere: Ho dovuto morire perché la solidarietà
umana mi era filtrata nel sangue, perché stimavo superiore
alla mia salvezza personale il rispetto verso il mio prossimo,
verso i miei compagni di lavoro. Non ho commesso alcun delitto
contro lo Stato. E non sono nemmeno un eroe, un martire, sono
soltanto ciò che sono sempre stato, un uomo semplice,
semplicissimo, che ha dovuto morire perché non era adatto
per questi tempi.
Parole come queste non
potevano uscire da un bravo ragazzo di Salò,
perché sono il frutto di una libertà interiore che
non è data a chi serve la tirannide e l'odio e
santificare questa memoria significa assumere su di
sé la responsabilità etica e spirituale della
libertà.
Non ci sarà in Italia
una pacificazione profonda fin quando il 25 Aprile non sarà
sentito come il Natale della Libertà e come il 14 Luglio
dei francesi, un giorno che ha inaugurato l'unica patria degna di
questo nome, non solo luogo geografico ma anche luogo
politico e spirituale. L'antifascismo ha costruito questa patria
dove le donne fossero cittadine come gli uomini e non fattrici o
puttane, dove i lavoratori fossero esseri umani titolari di
diritti sacrali, non servi a disposizione dei signori. La patria
della libertà, dell'uguaglianza, della solidarietà.
Moni Ovadia L'UNITA'
23/04/2005
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