| BIBLIOTECA | | EDICOLA | | TEATRO | | CINEMA | | IL MUSEO | | Il BAR DI MOE | | LA CASA DELLA MUSICA | | LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
|
LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI LUOGHI | | ARSENALE | | L'OSTERIA | |
LA GATTERIA |
| IL PORTO DEI RAGAZZI

altri scritti di Ovadia


Moni Ovadia

Né con gli antisemiti né con gli idolatri

Mi stavo accingendo a scrivere queste righe quando ho ricevuto sul telefonino la chiamata di un vecchio conoscente ebreo.

Ho cercato di rinviare la telefonata ad momento in cui fossi meno indaffarato, ma il mio conoscente ha insistito perché gli concedessi pochi istanti per una questione di estrema urgenza: “Se si tratta di pochi istanti dimmi pure”, ho acconsentito. Senza preamboli e con tono convinto ha dichiarato: “Fai il modo che venga revocato il premio Nobel ad Arafat. Tu ce puoi fare”.

Alcuni amici e “ammiratori” si sono curiosamente convinti che la mia piccola notorietà nazionale mi abbia conferito poteri taumaturgici e che io possa farne uso per “nobili” cause. Non li sfiora neppure l'idea che io non abbia questi poteri e che qualora malauguratamente, per qualche oscuro sortilegio, ne venissi dotato mi rifiuti di usarli. Non mi sognerei mai di chiedere la revoca del Nobel a Yasser Arafat, non perché ritenga l'ex presidente dell'Autorità palestinese esente da responsabilità o colpe, quanto perché oggi scaricare contro Arafat tutte le colpe del disastro israelo-palestinese mi pare vile e insensato. Ma questo genere di logica permea ancora la visione di troppi e genera sclerosi nella capacità di pensare. I sostenitori estremi delle due parti del conflitto si comportano come tifosi delle squadre di calcio, ragionano con parti del corpo non delegare alla regia di un'attività complessa come il processo di comprensione critica dei fenomeni.

La stessa sindrome colpisce frange estreme della sinistra radicale che non conoscono alternative alle manifestazioni intolleranti e violente del proprio pensiero. Un ultimo esempio di questa deprecabile attitudine è stata la protesta, a base di fumogeni, slogan e insulti, di un gruppo di studenti autonomi dell'università di Torino contro un rappresentate ufficiale dell'ambasciata israeliana. L'addetto diplomatico dello Stato di Israele era stato invitato a parlare nel quadro di un seminario sulla questione israelo-palestinese voluto da un'insegnante di geografia e aperto a tutte le parti in causa. Non voglio entrare nel merito della gestione del seminario né voglio soffermarmi sulla maggiore o minore correttezza riguardo alle procedure della sua organizzazione, ciò che mi interessa è la modalità di espressione del dissenso. L'università è un luogo di confronto di idee, teorie e opinioni, il confronto anche aspro e polemico deve essere comunque garantito. Confronto significa soprattutto dare a ciascuno la possibilità di potere esprimere il proprio punto di vista senza essere intimidito anche se con insulti e minacce verbali. Impedire a chicchessia di esprimersi con la sopraffazione, tappandogli la bocca è sempre e comunque sintomo di tendenze fasciste.

Nella società democratica anche al peggior criminale deve essere garantito un equo processo e il diritto di essere ascoltato nelle sue ragioni. A fortiori questo vale per un avversario, anche per il più estremo. Un portavoce degli studenti autonomi torinesi sul Corriere della Sera ha dichiarato che la loro non è una visione di pregiudizio, ma basata sul materialismo marxista. Ricorderò loro che il marxismo è pensiero critico (il ritratto di Marx è appeso alla parete del mio studio e scenderà solo dopo la mia dipartita) e che scambiare la propria legittima opinione per la verità assoluta è in totale antagonismo con l'essenza del pensiero del grande filosofo e rivoluzionario di Treviri.

Sono da sempre fiero oppositore dell'occupazione israeliana della devastante colonizzazione di vita del popolo palestinese siano un male non solo per loro stessi ma anche per gli israeliani. Ho criticato con tutte le mie forze la politica del generale Sharon e malgrado il cambiamento dello scenario politico continuo a criticarla. Proprio per questo posso dire liberamente che l'intifada armata è stata rovinosa come oggi sostengono i più autorevoli intellettuali e politici della società palestinese. Fare saltare a pezzi civili innocenti come mezzo di lotta è depravato. Inneggiare a questi sistemi è segno di relazione patologica con l'idea di essere umano e se non si amano gli uomini, tutti gli uomini, non si può trasformare il mondo verso la giustizia. Le aspre critiche a Sharon o a Bush non devono mai trascorrere in pregiudizi verso i popoli di cui essi sono rappresentanti temporanei. Gli israeliani sono spesso vittime di pregiudizi che talora trascorrono nell'antisemitismo.

Dubito che un rappresentante ufficiale cinese (occupazione del Tibet), o russo (Cecenia) o marocchino (Sharaui) avrebbe ricevuto dagli studenti autonomi lo stesso trattamento riservato all'addetto d'ambasciata di Israele.

Questa attitudine, è bene sottolinearlo, non caratterizza solo il campo dei filo palestinesi estremi, ma anche i loro corrispettivi nel campo dei filo israeliani acritici. Tralascio le esternazioni della Signora Fallaci. Non è possibile interloquire anche a distanza con vestali e profetesse indemoniate. Ma anche giornaliste serie, di solida formazione come Fiamma Nirenstein che vibrano di autentica passione e indignazione per le intolleranze antisraeliane, per i rigurgiti di antisemitismo e per le faziosità di certa sinistra, riescono con disinvoltura a bypassare le violenze, le umiliazioni, le continue vessazioni, lo stillicidio di prepotenze causate ai civili palestinesi, donne, vecchi e bambini dalle ingiustificabili occupazione e colonizzazione. Non ne percepiscono la perversa iniquità, le fanno passare per tributo inevitabile alla sicurezza di Israele o peggio ne scaricano l'intera colpa sui palestinesi stessi.

Una volta il Rabbino David Rosen mi diede una folgorante definizione di idolatria: “Idolatria è scambiare il mezzo con il fine. Allora – soggiunse – non si vedono più le sofferenze degli altri”. I nostri maestri insegnano che il Santo Benedetto non ha concesso la luce sabbatica ai goym (i popoli, le genti) perché erano idolatri della terra. Molti israeliani ed ebrei oggi preferiscono l'idolatria della terra all'etica della torah.

Moni Ovadia – IL SECOLO XIX – 13/05/2005


| MOTORI DI RICERCA | UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO | LA POESIA DEL FARO|