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Moni Ovadia

Zapatero Zapatera

Lo show Rockpolitik del geniale Carlo Freccero condotto da un irresistibile Adriano Celentano, oramai più che smidollato uno smemorato con impeccabile misura e classe nel cantare, ha deliziato ed emozionato una moltitudine di italiani non solo per lo spettacolo in sé, ma anche per il pensiero dei travasi di bile subiti dagli uomini di potere che ci governano in modo sempre più volgare, imbelle e prepotente.
Lo so, non è nobile provare queste godurie, ma la misura è colma. La tracotanza incontenibile delle facce di quelli che hanno devastato il Paese e che invece di vergognarsi rivendicano glorie, è un'intossicazione così invasiva, che è lecito procurarsi degli antidoti ancorché topici e temporanei.
Lo show ci ha anche regalato dei fringe benefit prolungando il nostro piacere. Per esempio il commento dell'onorevole Sandro Bondi che gongolava decantando la libertà nel nostro paese, adducendo come prova il fatto che si può parlare male dell'amato premier sulla sua Rai 1 in prima serata. Il portavoce azzurro, come un “Mussolen” versione Furga, individua in Celentano il proprio Benedetto Croce e sostiene come il Duce che quando il “filosofo” può parlare il Paese è libero. Il fatto che gli osservatorii internazionali sulla libertà di stampa ci definiscano “parzialmente liberi” e ci collochino accanto alla Mongolia non conta. Del resto, per l'adorante Bondi, il mondo è abitato da un solo democratico, Silvio! Gli altri, tutti comunisti e ingrati a partire dai banchieri e da Follini. Lo show, quello vero, ci ha regalato dei numeri spassosi ed intelligenti; fra questi mi ha entusiasmato la cover version di “Bamboleo”, Zapatero Zapatera, in perfetto stile Gipsy Kings eseguita magistralmente in ispanoitaliota da uno scatenato Maurizio Crozza. Uno dei versi del testo diceva: “L'uno per ciento de tu carisma ce serve aqui”.
Il carisma è quello del Primo Ministro spagnolo Zapatero che oltre ad essere il capo del governo del paese iberico è, suo malgrado, un problema della sinistra italiana. Zapatero ha restituito un grande paese il cui popolo è molto vicino al nostro per tradizione e mentalità alla sinistra riformista democratica.
Ha attuato un programma coraggioso con determinazione e correttezza istituzionale, ha promosso leggi per la piena parità dei diritti delle donne non solo nelle chiacchiere ma in politica mentre a cinquant'anni dalla promulgazione della Carta Costituzionale, il nostro parlamento scriveva una delle pagine più squallide di discriminazione fra i sessi.
Zapatero ha dato pari dignità a minoranze escluse come gli omosessuali, ha mostrato come si governa un paese di cultura cattolica in piena autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche con vocazione per il potere.
Invece di gioire e di accogliere questo evento politico come un segno di rinnovamento e di speranza anche per la nostra infangata Italia, diversi nel centro sinistra si esercitano nei petulanti distinguo e nel cacadubbismo. Non sono il tipo da elevare uomini su piedistalli, sono più che vaccinato da questa pratica, ma sono abituato a fare festa agli uomini di valore. Invece da noi i terzisti, i quartisti, gli attendisti, i moderatisti, gli equidistantisti e chi più ne ha più ne metta, si sono dati a tagliare addosso i panni a Zapatero con la puzza al naso mentre la nostra politica marciva. Sono gli stessi che ci hanno consigliato o intimato di non demonizzare Berlusconi, l'uomo che ha fatto della nostra già scassata nazione lo zimbello del mondo, gli stessi che hanno impedito che si mettesse mano ad una seria legge liberista sul conflitto di interessi.
Costoro forse non si sono accorti che il governo Zapatero ha varato la legge più civile e importante di tutto il secondo dopoguerra per il futuro dell'Europa. Questa legge dichiara il genocidio e la persecuzione politica violenta un crimine anche se le vittime non sono cittadini spagnoli. Per questo solo atto che fa della politica un magistero al servizio dell'umanesimo universale, Zapatero meriterebbe il Premio Nobel per la Pace.
Noi non pretendiamo di volare così alto ma abbiamo il diritto di sperare che un po’ di senso della vergogna si faccia strada anche nella politica di casa nostra.


Moni Ovadia – L’UNITA’ - 22/10/2005



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