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Moni Ovadia

Da Hamas all'etica

Il Giorno della Memoria quest'anno mi ha offerto una preziosa occasione, ho avuto l'opportunità di presentare un libro bello e importante: Ricomporre l'infranto dello psicanalista freudiano professor David Meghnagi, una delle migliori teste pensanti dell'ebraismo europeo. L'opera mette a confronto quattro biografie esemplari, paradigmi di tentativi di “ricomposizione dell'infranto” prodotto dalla distruzione degli ebrei d'Europa programmata e messa in atto dai nazisti. Le biografie sono quelle di Marek Edelman (il custode) vice comandante della resistenza del ghetto di Varsavia, Primo Levi (il testimone), Isaac Deutscher (il rivoluzionario) biografo di Lev Trotskji e Gershon Scholem ( il sionista) il più grande studioso della mistica ebraica di tutto il Novecento. Tutto il percorso di Meghnagi è denso di stimoli pregnanti. Uno in particolare mi ha suggerito una riflessione che mette in relazione il passato con la più recente attualità del tragico intrico mediorientale. La fondazione dello Stato d'Israele, è stata sul piano pratico, ma ancor più sul piano simbolico, il più potente tentativo di ricomposizione dell'infranto. L'antico popolo del Libro dopo l'immane catastrofe, torna nella Terra e fa rinascere la nazione biblica e la sua antica lingua. Il progetto, miracoloso, è sì riuscito a tenere insieme un'identità di popolo che correva il serio rischio di una definitiva disgregazione, ma già alla sua origine portava nel seno delle pesanti ambiguità. La medinat Israel è uno stato laico uscito dal sionismo e dalla risoluzione 181 dell'Onu. Il suo carattere è all'origine socialisteggiante ma non si pone l'obiettivo di ricomporre ciò che il nazismo ha disintegrato ovvero l'ebraismo diasporico ovvero identità di un popolo che vive a cavallo dei confini. L'ebreo sionista deve essere l'antitesi dell'ebreo sradicato con la sua malinconica bellezza e la sua ubiquità identitaria. L'ebreo diasporico subisce la riprovazione della nuova ideologia a causa della sua mansuetudine spirituale, la sua lingua, lo yiddish, viene ostacolata anche con provvedimenti burocratici. L'israeliano diventa il cittadino di uno stato indipendente e forte, deve saper essere contadino e soldato, ingegnere e operaio. Israele sarà un paese democratico come gli altri, rispettato fra le nazioni ma normale. Il fondatore dello stato sionista David Ben Gurion esultò quando il primo ebreo in Israele fu arrestato ed imprigionato per furto. Alla notizia esclamo: “Adesso siamo un paese!”.

Il processo ad Adolf Eichman segnò, da parte dello Stato d'Israele, l'assunzione nel proprio corpo dell'eredità pratica e simbolica della Shoà del tutto comprensibilmente se si considera che una parte importante dei sopravvissuti vivevano lì. La testimonianza e la memoria della Shoà entrarono a far parte dell'eredità profonda del paese e al tempo stesso divennero strumenti di governo a disposizione della classe politica israeliana per rivendicare sostegno alla causa delle Stato d'Israele. La Shoà entrò a far parte del linguaggio propagandistico, sia dei pro che degli anti, con espressioni capziose e strumentali.
Oggi, gli ultimi eventi della scena mediorientale con la vittoria di Hamas - che non vuole riconoscere lo Stato d'Israele e mantiene nel suo statuto l'obiettivo di distruggerlo - e le ripetute esternazioni del presidente Ahmadinejad, rimettono tragicamente in gioco il piano simbolico di certi linguaggi. Facendo l'ipotesi che dal piano della propaganda si passasse a quello della realtà, se per assurdo Hamas riuscisse ad annientare Israele con la cooperazione dell'Iran e degli Hezbollah, avrebbe completato il lavoro di Adolf Hitler e dei suoi sodali. Contestualmente però ipotecherebbe il proprio futuro con quella sinistra eredità (il Gran Muftì di Gerusalemme, della Palestina mandataria, ci provò siglando un'alleanza con i nazisti) e infangherebbe in eterno il glorioso nome dell'Islam recidendo la radice del monoteismo da cui è uscito e finendo per mettere in moto un processo di dissoluzione dei propri valori fondanti.

Israele dal canto suo, ha tutto l'interesse ad abbandonare la deriva nazionale messianica e guardare il mondo circostante con altri occhi ascoltando un po' meno il grillo parlante a stelle e strisce e un po' più la saggezza araba che suggerisce: “Se vivi su un'isola, è meglio che tu ti faccia amico il mare”.
Il piano simbolico non vale solo per sé ma anche per l'antagonista e solo il cielo sa quanto oggi sia importante per dialogare con i palestinesi.

Solo un Israele più piccolo che poggi su un ubi consistam eticamente alto e che riacquisti alcuni tratti dell'esilio può conquistarsi un futuro ebraicamente ed universalmente migliore.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 04/02/2006


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