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Italia, il palcoscenico del Nordest |
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La prassi quotidiana
del palcoscenico mi pone di fronte ad esperienze che vanno ben
oltre il mestiere dello spettacolo e mi ha offerto insegnamenti
preziosi riguardo ai comportamenti emozionali delle piccole
collettività, come quelle formate dagli spettatori di una
serata. Mi è capitato di recitare lo stesso spettacolo
nello stesso teatro della stessa città, in diverse sere e
di riscontrare da parte dei pubblici presenti reazioni
diversissime, talora diametralmente opposte. La natura di questo
fenomeno, verificato «sperimentalmente» nel corso di
molti anni, ha aspetti misteriosi, ma non è del tutto
oscura. I pubblici degli abbonati, che arrivano compatti nelle
prime due sere, sono tendenzialmente poco reattivi, praticano una
routine e subiscono alcuni spettacoli per avere la possibilità
di accedere a quelli che hanno scelto. Gli attori, fragili per
vocazione, davanti all'accoglienza fredda di quel pubblico, non
possono trattenersi dal pensare che forse lo spettacolo abbia dei
problemi. Poi, da che alla terza sera, fa il suo ingresso in
teatro il pubblico che ha scelto proprio il tuo spettacolo
pagando il biglietto per esso e lo stesso spettacolo riceve
un'accoglienza entusiastica, i teatranti placano i propri
travagli con la constatazione che forse, i problemi ce li ha una
parte del pubblico e non necessariamente la rappresentazione.
Questa considerazione mi è stata suggerita da un fondo
apparso sul Corsera di giovedì 14 aprile a firma del prof.
Angelo Panebianco. Il noto opinionista per commentare la risicata
ma concreta vittoria del centro-sinistra, sceglie di analizzare
la sconfitta del centro sinistra in quel Nord dove albergano i
ceti più produttivi del Belpaese. La sua analisi lo porta
a concludere che l'Unione, gravata da una aumentata presenza
della sinistra «radicale», sarebbe strutturalmente
inadeguata a comunicare con quei ceti e quindi inadatta a
governare.
Mino Ovadia L'UNITA' 15/04/2006 |
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