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Moni Ovadia

Persecutori e perseguitati

I giovani palestinesi danno spesso notizia di sé sulla stampa internazionale. Il più delle volte in occasione degli scontri con i militari israeliani, per avere compiuto attentati terroristici o per essere vittime dirette o «collaterali» degli omicidi mirati o delle rappreseglie dell'esercito dello Stato d'Israele. Questa tragica routine la scorsa settimana ha avuto una singolare variazione che probabilmente è sfuggita alla maggioranza dei lettori. Nella stessa settimana, alcuni giovani palestinesi sono stati arrestati ai check point israeliani per detenzione di coltelli e un giovane loro coetaneo si è fatto saltare davanti ad un chiosco di ristoro alimentare a Tel-Aviv facendo nove morti e un grande numero di feriti. In che cosa risiede la singolarità del fatto? Forse nell'uso di armi diverse e nell'acquisizione di maggiore o minore gloria come combattenti e martiri della lotta contro il nemico? No, niente di tutto questo. L'inchiesta della polizia ha chiarito che quei giovani armati di coltelli non avevano intenzione di assalire all'arma bianca cittadini di Israele, come già capitato in alcune circostanze, ma portavano indosso quelle «armi» con l'intenzione di farsi arrestare e comminare una pena detentiva di alcuni mesi allo scopo di potere studiare con calma, nell'isolamento del carcere, e prepararsi agli esami di maturità. Quegli studenti palestinesi non trovano in famiglia la concentrazione necessaria per studiare seriamente come desiderano a causa dei problemi gravissimi di disoccupazione, di endemica mancanza di risorse, di asfissia esistenziale che determina un clima avvelenato. Così vivono oggi nei Territori occupati dei normali giovani studenti. Il loro coetaneo ha invece cercato la «bella morte» e ha trovato solo quella di un assassino di vite innnocenti di cui ha sbranato le carni. Quel sangue chiamerà altro sangue in una spirale tanto efferata quanto inutile. Quest'ultima guerra israelo-palestinese ha già causato più di mille morti in campo israeliano più del triplo fra i palestinesi. Il 95% per cento di loro erano civili inermi.
In questo contesto, sconcerta l'abissale differenza fra giovani così vicini fra loro, uno sahid suicida, gli altri assetati di studio e sanamente ostinati nel volere un futuro diverso. L'amministrazione giuridica israeliana ha deciso di ridurre al minimo la pena detentiva ai giovani studenti di Palestina probabilmente per non infierire, ma così, a questi giovani studenti perseguitati da un'occupazione iniqua ed ingiustificata, viene riservata la beffa di non avere neppure una cella per studiare in pace per il tempo necessario a passare con successo gli esami di maturità.
Le modalità della persecuzione sono davvero molteplici e perverse. Il kamikaze che si fa esplodere in mezzo a civili inermi è un persecutore della vita, l'occupazione e la colonizzazione israeliana con le sue mille vessazioni e le morti che provoca è persecuzione della dignità e della vita. E allora? La sapienza dei saggi dell'ebraismo propone una riflessione su cui sarebbe importante soffermarsi nelle situazioni drammatiche in cui gli uomini sono confusi e non trovano il bandolo della matassa.
Questo è un midrash talmudico citato da Pierre Vidal-naquet nel suo libro «Gli assassini della memoria». È rabbi Huna che parla a nome di rabbi Joseph: «Dio è sempre dalla parte di chi è perseguitato. Può darsi il caso di un giusto che perseguita un giusto e Dio è dalla parte del perseguitato. Quando un malvagio perseguita un giusto, Dio è dalla parte del perseguitato. Quando un malvagio perseguita un malvagio, Dio è dalla parte del perseguitato. Anche quando un giusto perseguita un malvagio, Dio è dalla parte di chi è perseguitato».
Ponderare le parole di questo midrash, oggi, farebbe molto bene agli ebrei. Ma anche ai palestinesi.


Moni Ovadia – L'UNITA' – 22/04/2006


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