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Moni Ovadia

Jimmy Carter e gli anatemi

L’antisemitismo è un pregiudizio ed insieme un sentimento che non si rassegna, non vuole gettare la spugna. Le sue motivazioni sono sempre più deboli, non riescono a montare, non ottengono più il centro della scena politica, non coagulano il consenso parossisitico che conobbero nei periodi di splendore, tuttavia ciclicamente l’antisemitismo fa parlare di sé: con una scritta di hooligan, con la profanazione di luoghi di culto o di incontro ebraici, con qualche pubblicazione o disegno satirico e così via. Si ascoltano ancora discorsi sullo strapotere finanziario degli ebrei, sul loro tentativo di controllare il mondo attraverso un irresistibile potere occulto. Questi discorsi oggi vengono fatti a mezza voce, dopo l’evento della Shoà sono considerati sconvenienti e le aggressioni simboliche o pratiche di ogni tipo, almeno in Occidente, vengono condannate dai Governi e dalla società civile e gli ebrei ricevono calorosi ed indignati attestati di solidarietà. L’antisemitismo nella sua forma più ambigua e mobile dell’antisionismo, ottiene maggior successo e leader estremisti del mondo islamico non si fanno problemi nel lasciarsi andare ad esternazioni estreme e talora farneticanti ma, a mio parere, strumentali e propagandistiche, come nel caso del presidente iraniano Ahmadinejad. Molti ebrei, dal canto loro, sono ipersensibili ed iperreattivi all’argomento, talora fino all’eccesso e al ridicolo come ci segnalano le stesse leggendarie storielle ebraiche: «Yankele hai sentito? Gli americani sono andati sulla luna!» - «Davvero Moishele? E questo... è bene o male per noi ebrei?». I nervi scoperti di questi ebrei li fanno reagire ad ogni minuscola manifestazione sgradevole o anche di critica nei confronti delle istituzioni ebraiche o dei governanti israeliani come se Adolph Hitler fosse in procinto di essere rieletto cancelliere della Germania o come se lo Stato d’Israele fosse il ghetto di Varsavia isolato e abbandonato da tutto il mondo circostante. Questi comportamenti psicologici possono essere guardati con indulgenza, se si considera che il popolo ebraico ha subito annientamento di un terzo dei suoi figli ed ha rischiato di essere cancellato dalla faccia della terra da un programma di odio studiato a tavolino.
L’affaire però si complica se si cerca di mettere in relazione meccanica rigurgito antisemita o antisionista, e questione palestinese. Israele ha avuto una storia difficile, talora drammatica, ha subito devastanti danni umani dal terrorismo contro i civili e quindi considera la sicurezza una priorità assoluta. Fin qui tutto si tiene. Il terreno invece cede, quando si giustificano le terribili quarantennali sofferenze inflitte alla popolazione palestinese con la sicurezza di Israele o, nella migliore delle ipotesi, si sospira verso dette sofferenze accettandole come un male inevitabile. Quando poi si usano antisemitismo o antisionismo come ragioni per ridurre alla fame, alla disperazione e alla privazione di cure per i malati, per distruggere il futuro dei bimbi e dei giovani e condannare alla spoliazione, adulti, vecchi e donne, allora si apre una voragine di infamia. I governi di Israele avevano ed hanno altre opzioni per garantire la sicurezza dei propri cittadini; l’occupazione e la colonizzazione dei “territori” sono dovute solo a ragioni di realpolitik miranti cinicamente ad espropriare un popolo dei suoi sacrosanti diritti per avvantaggiarsi di risorse e di controllo geopolitico a dispetto della legalità internazionale. Il recente embargo economico-finanziario, poi, è ignobile dal punto di vista umano ma anche dal punto di vista ebraico. Punisce indiscriminatamente i palestinesi per avere dato una prova esemplare di democrazia elettorale anche a noi occidentali. Questa vergogna deve cessare immediatamente per la giustizia ma anche per il bene del futuro del popolo israeliano.
Gli ultrà pro-israeliani che dovessero per ventura leggere queste poche righe, prima di rivolgermi i loro anatemi, cerchino sul sito del nostro giornale il magistrale articolo del 9 maggio a firma dell’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, «I palestinesi non sono animali». Sarei felice di spartire con lui l’onore delle contumelie più crude.


Moni Ovadia – L'UNITA' – 20/05/2006


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