Il dono della sintesi
mi fa difetto, da sempre. Non riesco ad evitare la prolissità
e il disagio per questo mio limite cresce nella stessa misura in
cui cresce l'ammirazione per coloro che della sintesi fanno
un'arte come la nostra geniale Maria Novella Oppo e il grande
Michele Serra nelle sue impareggiabili «amache» su
Repubblica. Dunque, non potendo emularli, approfitto delle
loro intuizioni per chiosarli. Questa volta ho scelto di trarre
spunto dall'«amaca» di mercoledì 31 maggio in
cui Serra stigmatizza il rapporto del contribuente italiano di
reddito medio alto con il fisco. La conclusione del breve e
folgorante scritto, è che siamo un paese ladro ovvero un
paese di ladri. Michele Serra ha pienamente ragione. La
scandalosa, la sconcia evasione fiscale, nel nostro paese è
furto, latrocinio a danno degli onesti, dei cittadini a reddito
fisso e di ciascuno lavoratore, o imprenditore, libero
professionista o artigiano che le tasse le paga e le paga tutti
gli anni. Questi cittadini tengono in piedi l'Italia che se
fosse per gli evasori totali ed i grandi elusori, farebbe
bancarotta fraudolenta. Questa parte del paese non solo fornisce
ossigeno all'intero sistema, ma consente alla nostra nazione di
figurare nel consesso dei paesi civili ed avanzati. Cosa
riceve in cambio il contribuente ossequioso delle leggi?
Svillaneggiamenti, beffe e raggiri. Non solo viene considerato
pubblicamente un fesso, ma il suo commercialista gli «impone»
di pagare i reiterati condoni più o meno tombali per non
incorrere nelle vendette del fisco: «Capisci? Se non paghi
il condono, quelli ti mettono nei controlli incrociati, ti
beccano, qualcosa che non va te la trovano e te la fanno pagare
cara!». E il buon contribuente, che spesso è
cresciuto con la convinzione, non del tutto infondata che lo
Stato è «birro», debole con i potenti e
prepotente con i deboli e gli onesti, cede e paga anche il
condono con grande gaudio degli evasori. Se questo schifo non
cambia, è inutile illudersi, governi la sinistra o la
destra, rimarremo un paese minore tenuto in scacco dai farabutti.
Questa questione, rilevante in tutto lo Stivale, diviene
inquietante al Nord. Malgrado i disastri evidenti del governo
Berlusconi, le bugie e i fallimenti del centro destra, la
manifesta incapacità di governare, la sua abissale
distanza dalla politica di quel moderno liberismo che
caratterizza i partiti conservatori dei paesi sviluppati, la
maggioranza dei ceti produttivi del nord e del nord-est continua
a votare per questo centro destra sgangherato, demagogico,
populista e incapace, piuttosto che dare una chance ad un centro
sinistra che pur con tutti i suoi limiti è infinitamente
più affidabile. Colpa dei rossi? Colpa della mentalità
bottegaia ed egoista dei «nordisti»? Ciascuna di
queste opzioni estreme è unidiozia in sé. Le
ragioni sono molteplici e complesse. Fra queste vi è
sicuramente l'idea che il centro sinistra brandisca sempre la
mannaia fiscale per colpire chi produce e falcidiare il suo lauto
e sudato guadagno. L'equivoco va affrontato con l'informazione e
il confronto. Il centro-sinistra deve fare la sua parte: per
esempio può procedere con urgenza alla semplificazione e
alla chiarezza del sistema impositivo, deve fare riforme che
smontino l'idea di uno stato ostile al cittadino, anche nel campo
delle tasse, andando incontro alle esigenze di ogni settore
produttivo come ha fatto con il «cuneo fiscale» ,
mostrandosi disponibile all'ascolto dei problemi o delle
difficoltà che una categoria di produttori od un singolo
produttore debba fronteggiare per ragioni congiunturali o
strutturali. Ogni sforzo possibile deve essere fatto per
sciogliere il nodo della diffidenza e dell'incomprensione. Ma è
invece è necessaria la massima intransigenza nei confronti
dell'evasione fiscale e del lavoro nero, nei confronti di ogni
illegalità. Su questo terreno non è accettabile
nessuna forma di mediazione o complicità. Non solo per le
ovvie ragioni morali e giuridiche, ma perché senza uscire
dal pantano della diffusa, compiaciuta illegalità, non
diventeremo mai un paese maturo. Rimarremo un paese ladro e
di ladri e con un mercato interno troppo piccolo per fare la voce
grossa.
Moni Ovadia L'UNITA'
03/06/2006
|