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Moni Ovadia

Elogio dell' “equivicinanza”

I neologismi della politica di casa nostra, veri o «similveri» che siano, sono solitamente brutti, spesso infelici, nel migliore dei casi deprimenti. Come dimenticare la leggendaria espressione del politichese democristiano «convergenze parallele», vortice ineguagliato del raggiro linguistico? Ma anche i recenti devolution del leghismo cosmopolita, o tormentoni dell’Unione cuneo fiscale e disavanzo primario, rimarranno a futura memoria, per la goffaggine e per l’irresistibile vocazione masochistica.
Come sempre vi sono tuttavia delle preziose eccezioni. Una di queste è il termine equivicinanza. L’espressione non è di nuovissimo conio, eppure appare come appena licenziata dalla zecca. Merito del ministro degli Esteri Massimo D’Alema che le ha dato particolare autorevolezza scegliendola per definire la posizione del governo Prodi nei confonti del conflitto israelo-palestinese. Questa attitudine è la sola che possa consentire di essere interlocutori credibili per contribuire ad un vero processo di pace. Innanzitutto la parola conceda finalmente l’algida e pilatesca, diplomatically correct «equidistanza», termine che sostanzialmente indica il rifiuto di essere coinvolti per opportunismo e quieto vivere. L’equivicinanza suggerisce immediatamente un’assunzione di responsabilità un coinvolgimento simpatetico nei riguardi di entrambi le parti in conflitto. L’Unione Europa farebbe bene ad assumerla sia come espressione del proprio linguaggio diplomatico che come strategia nei confronti della questione mediorientale. Essa finora è stata condizionata dalla politica estera degli Stati Uniti d’America caratterizzata da uno sconcio sbilanciamento a favore dei governi israeliani e da un’attitudine tardo imperialista nei confronti dell’intera area, come testimoniano lo scatenamento della guerra contro l’Iraq e l’aggressività poliziesca nei confronti dell’Iran a causa di un programma nucleare della cui legittimità l’amministrazione Bush pretende di essere giudice indiscusso. Le sinistre europee per contro hanno talora piegato acriticamente e faziosamente il bastone a totale sostegno della causa palestinese, non prestando ascolto alle ragioni israeliane.
I governi dello Stato di Israele hanno restituito pan per focaccia dichiando l’Europa tout-court interlocutore ostile o perlomeno non amichevole l’equivicinanza del ministro degli Esteri Massimo D’Alema e per suo tramite del governo Prodi, inaugura una nuova stagione in cui, finalmente, dopo la misera e servile prestazione del governo Berlusconi appecoronata sui desiderata dell’amico americano, l’Italia può svolgere un ruolo di protagonista e di leader ascoltato nella promozione del processo di pace, quando giocoforza, cessata l’illusione dell’opzione militare, riprenderà, speriamo in maniera definitiva. La Roma del sindaco Veltroni sarebbe una sede ideale per le trattative finali.
Gli estremisti della moderazione dell’Unione delle Comunità ebraiche, naturalmente, si sono lamentati per l’idea dell’equivicinanza, era ovvio, hanno molto a cuore le moine filoisraeliane interessate di fascistoidi e nazistoidi. Di aprire gli occhi anche sulle sofferenze dei palestinesi invece, neanche gli passa per la testa.


Moni Ovadia – L'UNITA' – 08/07/2006


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