La questione
dellindulto sta per giungere al suo epilogo con
unapprovazione controversa che ha visto per lennesima
volta una pessima rappresentazione nel teatrino allitaliana
della politica. «La Stampa» di ieri venerdì 28
luglio ha titolato in prima pagina: «Sì allindulto,
un regalo ai corrotti». È davvero deprimente che un
provvedimento necessario e civile come lindulto, che
permette di alleviare le spaventose e vergognose condizioni di
permanenza nelle inadeguate carceri italiane di migliaia di
detenuti per reati comuni, spesso in attesa di giudizio, sia
stato il mezzo per assolvere dalle loro malefatte corrotti e
corruttori: i soliti noti ricchi, potenti e prepotenti che
riescono inesorabilmente a farla franca. Perché tutto
ciò è potuto accadere? Principalmente perché
il governo ha dovuto subire il ricatto del principale partito
dellopposizione, Forza Italia, che ha fatto chiaramente
intendere di essere disposta a votare il provvedimento solo a
patto che vi fossero inclusi i reati di corruzione, di bancarotta
e altri consimili. A costo di fare la parte del fesso, confido
che la stragrande maggioranza dei parlamentari del governo abbia
accettato il ricatto solo per proteggere la dignità umana
dei detenuti più deboli. Tuttavia lo scenario che ci si
presenta davanti alluscita dallo squallido ricatto è
allarmante. In primo luogo è necessario constatare che
in Italia, la prima forza politica del Paese per rappresentanza
elettorale, non considera i reati connessi alla corruzione dei
reati gravi, anzi li ritiene un esercizio del diritto di impresa.
Il cavalier Berlusconi e il suo partito-azienda hanno fatto della
demolizione della magistratura la prima, la seconda e la terza
priorità del programma di governo e dellagenda
politica in generale. I risultati si vedono e rappresentano una
pesante ipoteca lasciata in «eredità»
allattuale governo e alla nazione intera. Ascoltando le
riflessioni della parte più sana dellelettorato
delle primarie e dellUnione si percepisce una forte
delusione che non tarderà a trasformarsi in una
disaffezione verso il governo Prodi che tante speranze aveva
suscitato. Per evitare che le ragioni della delusione morale si
saldino con la vocazione qualunquista al rifiuto della politica,
bisogna attuare riforme profonde al fine di restituire allidea
della giustizia piena dignità. Sentiamo spesso
ripetere che la radice fondante della nostra civiltà è
quella giudaico-cristiana. Sia lebraismo che il
cristianesimo riconoscono la giustizia come precondizione per una
società giusta e redenta. Lebraismo proclama che Dio
è giusto, se non lo fosse non potrebbe essere
misericordioso perché il suo perdono sarebbe connivenza
con il crimine. Gesù afferma la definitiva priorità
della giustizia nelle beatitudini. Ben due su otto sono dedicate
a quel fondamento e una di esse: «Beati gli affamati di
giustizia perché saranno saziati» ci dà
unindicazione irrinunciabile per il nostro futuro. Come
acutamente ha spiegato il giudice Gherardo Colombo in una sua
vibrante interpretazione - di cui ho già riferito in altre
circostanze - la giustizia non è rappresentata dai
giudici, dai tribunali, dalla polizia giudiziaria, dalle carceri,
ma dalla fame e dalla sete che ne abbiamo. Se la giustizia non
diverrà istinto primario come il nutrirsi e il dissetarsi
non accederemo a una vera vita sociale e lItalia
sopravviverà nel disfacimento di sé come grottesco
Paese della beffa, primo esempio di democrazia fondata sulla
truffa. In compenso i demagoghi della destra più
becera, che si è capziosamente opposta allindulto,
avranno facile gioco a raccattare valanghe di voti presso
lelettorato mesmerizzato dal mito della sicurezza. Dunque
le riforme giuridiche sono più che urgenti, sono dei
farmaci salvavita.
Moni
Ovadia L'UNITA' 29/07/2006
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