Guido Barbieri, Oscar
Pizzo ed io il 4 settembre siamo partiti con destinazione
Ramallah per avviare il progetto di un'opera di teatro musicale
ispirata ad una storia palestinese. L'atterraggio all'aeroporto
David Ben Gurion di Tel aviv per me è stato uno shock.
L'ultima volta che ero stato in Israele era il 2000,
l'aerostazione appariva come quelle nostre di una media città
del sud nei primi anni sessanta, a distanza di soli sei anni come
se il tempo fosse imploso mi sono trovato di colpo
nell'ipermodernità di un aeroporto da capitale orientale.
Allora l'emozione che provavo era quella della familiarità,
Israele era governata da Barak e Arafat era ancora vivo. Molti si
crogiolavano nella falsa promessa di una pace a buon mercato.
Questa volta guardo l'edificio con ammirazione architettonica ma
con un senso di indifferenza, al momento di ripartire per
l'Italia andrà meglio. Il viaggio in macchina verso
Ramallah per noi scorre senza soste forzate al check point, siamo
fortunati. All'arrivo a Ramallah, appena il tempo di appoggiare i
bagagli e ci rechiamo al nostro primo incontro con la gente di Al
Kamandjati. Al Kamandjati è una scuola di musica per
bambini. Non è una di quelle scuole o conservatori privati
per ricchi o privilegiati, ma per i bambini normali che in
Palestina significa poveri. Il suo fondatore è Ramzi, un
violista di grande talento che suona nelle grandi orchestre
dell'Occidente. La storia di Ramzi è il fil rouge del
nostro progetto e per sommi capi questa è la sua storia:
Ramzi vede morire, ucciso dall'esercito israeliano il suo
compagno di giochi, sconvolto, per istinto afferra una pietra e
la scaglia contro un tank di Tsahal. Un fotografo presente
riprende il gesto, quella foto farà il giro del mondo,
sarà il simbolo della prima Intifada, la rivolta delle
pietre contro i carrarmati, le mitragliatrici e gli elicotteri.
Ramzi bambino non saprà mai di essere un'icona, lo
scoprirà da adulto. La sorte e il talento tracceranno per
lui un altro cammino grazie ad uno zio violinista e ad
un'insegnante di violino francese che ne coglierà l'estro
musicale, gli darà la possibilità di studiare in
Francia e farà di lui un musicista di prim'ordine. Ma
Ramzi non può dimenticare la sua gente e così nasce
Al Kamandjati. I maestri di musica di Al Kamandjati portano
l'insegnamento anche nei campi profughi e il giorno seguente al
nostro arrivo li seguiamo a Qalandiya, un campo a ridosso di
Ramallah. La nostra guida è Nicola Perugini un giovane
antropologo italiano che collabora con la scuola e parla bene
l'arabo, prima di entrare nel campo andiamo a guardare il muro
che è a poche decine di metri da lì. Questo è
il mio commento: chiunque voglia parlare della questione
israelo-palestinese venga qui a dare un'occhiata, e questo è
anche quello che ho da dire del campo profughi. Per raccontare la
storia di Ramzi nella trama di altre storie palestinesi ci
affidiamo allo sguardo di una testimone, Amira Hass, del resto i
suoi scritti pubblicati in Italia da Internazionale, uno dei più
importanti osservatori di stampa del nostro paese, sono
all'origine del progetto ideato da Guido Barbieri e Oscar Pizzo.
Amira Hass è una scrittrice e giornalista di altissima
caratura ed è un essere umano di grande statura morale. È
nata in Israele da genitori sopravvissuti alla Shoà. Da
oltre dieci anni vive nei territori occupati, prima a Gaza oggi a
Ramallah. La sua visione è adamantina, mai ideologica,
racconta il dramma palestinese attraverso storie e fatti. Amira
non fa sconti a nessuno, non è diplomatica perché
non ha bisogno di esserlo in quanto parla di ciò che vede
e vive: «il muro è osceno e perverso e l'occupazione
e la colonizzazione espropriano i palestinesi della loro
identità, delle tradizioni, delle topografie esistenziali,
del futuro». Per la nostra ultima sera Amira ci regala un
«occupation tour» condito di spunti umoristici e
sarcastici e ci mostra il delirio del tracciato del muro che
spunta da ogni parte per rendere la vita dei palestinesi un
incubo insieme alle mille vessazioni come il contingentamento
indiretto dell'acqua che arriva attraverso condutture di 1/3 del
diametro di quelle che la portano alle colonie insediate a pochi
metri di distanza. Il nostro ultimo incontro è
all'aeroporto Ben Gurion con Mohammed Bakri e con suo figlio.
Mohammed è il più celebre attore palestinese ed è
cittadino israeliano per questo può stare lì.
L'intensità dell'incontro con loro ha bisogno di altro
tempo per essere tradotto in parole, il progetto a cui abbiamo
dato avvio parlerà per noi.
Moni Ovadia L'UNITA'
09/09/2006
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