LItalia è
sempre stata sinonimo di bel paese, lo hanno pensato gli altri e
a noi è piaciuto crogiolarci nel mito di corrispondervi.
Bel paese e brava gente, estrosi, creativi i suoi abitanti. Gli
altri ci hanno guardato con un misto di malcelato disprezzo e di
sardonica ammirazione e noi talora ci siamo risentiti, ma il più
delle volte abbiamo tirato dritto per la strada dei nostri
difetti. Napoli è stata uno stupendo castone nella
corona dell'italianità, estrema nei pregi e nei difetti e
ci è piaciuto vantarcene. La realtà naturalmente è
sempre stata molto distante dall'immagine, ma la grande
maggioranza degli italiani ha fatto finta di non saperlo. Ora,
questo giochino di mettere la testa sotto la sabbia della
televisione e dei miti da rotocalco è finito. I tempi sono
cambiati, viviamo in un'epoca abissalmente diversa da quella in
cui ci si poteva permettere di raccontare favolette consolatorie
ed auto assolutorie. Questa è l'epoca della «democrazia»
delle merci, del denaro, della privatizzazione selvaggia di ogni
molecola, è l'era post-morale in cui i valori non servono
a meno che non siano mercanteggiabili, mentre la malavita ben
organizzata è perfettamente compatibile perché di
affari super vantaggiosi se ne intende. Napoli - che ha avuto
una storia e una struttura sociale sui generis - oggi ha un
porto-container dove si riversano e transitano flussi abnormi di
merci asiatiche e l'alluvione di denaro che questo fiume riversa
sulla città, genera fenomeni eclatanti, violenti e
perturbanti. «Napoli è una fogna!» sentenzia
un visopallido dagli occhi verdi e spiritati che appartiene alla
tribù dei celtici nostrani. Se ne intende di fogne lui che
ha compiuto la sua educazione nella cloaca ammorbante formata dal
miscuglio fetido dei mezzi pensieri xenofobi, razzisti,
antimeridionali e maschilisti. La sua cultura fognaria è
però di corta memoria. Si è già dimenticato
che ha fatto parte di un governo in cui sedeva un ministro che
con estrema disinvoltura affermava che dovevamo imparare a
convivere con la malavita. In un paese autenticamente civile, una
simile affermazione avrebbe dovuto provocare l'immediata
rimozione di quel ministro dal suo incarico e la messa al bando
da ogni attività pubblica. Da noi, al massimo, quelle
parole provocano una puntata di Porta a porta. I familiari della
manovalanza camorrista di piccolo cabotaggio aggredisce la
pattuglia dei carabinieri che li ha tratti in arresto per le loro
malefatte? Perché stupirsi? Hanno imparato la lezione
nelle televisioni del forse ex post padrone e signore dell'Italia
che mentre era in carica, e per l'intera durata del mandato, ha
passato il suo tempo ad attaccare i giudici e l'intera
magistratura. La grande lezione ha dato i suoi frutti e ognuno
sviluppa l'ammaestramento ricevuto secondo i suoi talenti
specifici. Il caso Napoli è la ferita aperta di un
problema di quasi metà del paese, specchio dell'incapacità
e della colpevole superficialità di chi ha comandato e di
chi, con incredibile sfrontatezza, vorrebbe ancora insegnare.
L'attuale governo ha davanti una sfida epocale: impedire che
il paese intero precipiti nel baratro di un declino senza
ritorno. Servono provvedimenti decisi e urgenti. Serve più
Stato e non meno Stato. Non serve invece rincorrere in modo
corrivo l'elettore moderato, bisogna spiegare con chiarezza a
quell'elettore e a tutti gli altri che, se non si esce dalla
drammatica crisi culturale, la barca Italia affonderà con
tutti i suoi passeggeri e i moderati non avranno un
galleggiamento maggiore dei non moderati. Se non si da mano ad un
cambiamento drastico di rotta, non resterà che candidarci
a diventare i bassifondi dell'Europa e a fare di questa opzione
il nostro futuro economico. A Napoli comunque abbiamo il dovere
di essere vicini, a fortiori in questo momento tragico. Molti di
noi hanno debiti culturali ed umani intimi con la sua gente. Io
sono fra costoro.
Moni Ovadia L'UNITA'
04/11/2006
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