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La maestà del dolore |
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Ora ha ventisei anni e dall'età di diciannove siede su una sedia a rotelle, vede pochissimo, sente male e parla con molta fatica. Un tumore al cervello ha percosso la sua giovane vita e prima di essere sconfitto è temporaneamente riuscito ad impadronirsi del suo futuro. Sono andato a trovare il mio ex allievo per ricambiare il dono della sua lettera. Davide ha una personalità forte, è meticoloso ed è capace di esprimersi con un sarcasmo lancinante. Uno dei suoi primi gesti nell'incontrarmi è stato quello di porgermi un foglio dattiloscritto, un foglio importante, per Davide molto importante. Sono i diritti del malato mi ha detto, poi sforzandosi di vedermi ha soggiunto non del disabile, del malato, del malato. Ho preso il foglio e mi sono impegnato a parlarne. Con quel gesto e quelle parole credo che Davide volesse significarmi che non parlava per sé, ma per una condizione universale dell'uomo quando è in uno stato debolezza transitoria e permanente a causa di una malattia. E ciò riguarda in qualche misura ogni essere umano. Davide è circondato dall'affetto di una famiglia esemplare, che si occupa di lui con la grazia forte di chi conosce il valore della vita in sé e attraverso la sofferenza di un proprio membro. A Davide non manca nulla di ciò che può avere in quella sua particolare condizione, ma lui si preoccupa per gli altri, sa bene che senza diritti la vita non ha dignità, senza diritti il dolore è anche umiliazione e vessazione, la malattia è violenza. Il monito che Davide ci lancia dalla maestà del suo dolore mira a sollecitare la costruzione di una società del diritto e della giustizia che sola può permettere agli uomini di rifuggire dalla vanità e dalla tracotanza per trarre ammaestramento dalla fragilità intesa come valore profondo della instabile ed aleatoria natura umana. Moni Ovadia L'UNITA' 15/06/2002 |
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