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Moni Ovadia
L'UNITA' – 15/06/2002

La maestà del dolore


Le grandi scoperte scientifiche e tecnologiche, incrementando vertiginosamente le potenzialità di forza, conoscenza e controllo delle realtà da parte del precario essere umano, portano in dote una inevitabile ambivalenza sul piano morale espandendo a dismisura gli accessi al bene e quelli al male, simultaneamente. La travolgente e subitanea di Internet rende detta ambivalenza palpabile al battito di ciglio di ogni schermata. Il nostro display ci permette di “dominare” il mondo, ma il mondo con tutto il bagaglio delle sue possibili aberrazioni può impunemente invaderci. I filtri che possiamo interporre fra noi e la rete mi paiono illusori, verosimilmente solo la consapevolezza e la coscienza del nostro prossimo internauta, privato, pubblico o corporation che sia, ci potrebbero garantire il rispetto per la nostra privacy, ma per il momento su tale utopica sensibilità, non ci si può contare. Eppure, ciò premesso, io alla rete sono favorevole. Oltre la deriva alluvionale di ciarpame pubblicitario, di chattamenti insulsi, di gossip i quali più che vellicare la morbosità sollecitano gli sbadigli, oltre l'intasamento degli appelli di ogni genere, in Internet circola un'informazione non totalmente omologata e vici altrimenti ineludibili possono essere ascoltate. Talora la facilità di comunicazione fa approdare alla tua sponda elettronica una bottiglia con un messaggio importante che viene da lontano nel tempo. A me è arrivata una e-mail di Davide in cui mi ricordava di essere stato mio allievo circa vent'anni fa. Nella mia vita non sono stato insegnante a tempo pieno, ma saltuariamente mi è capitato di fare il supplente e di quando in quando ho tenuto brevi corsi di cultura musicale. Davide e io ci siamo conosciuti quando lui era un aquilotto delle elementari ed insieme ad una nidiata di suoi compagni inventava sotto la mia guida delle finte pubblicità con tanto di musica per esplorare in modo ludico la relazione fra suono e immagine. Di quel periodo sorprendentemente Davide si ricorda tutto e lo ha ricordato a me che comincio ad avere una memoria labile. Davide non è stato fortunato.

Ora ha ventisei anni e dall'età di diciannove siede su una sedia a rotelle, vede pochissimo, sente male e parla con molta fatica. Un tumore al cervello ha percosso la sua giovane vita e prima di essere sconfitto è temporaneamente riuscito ad impadronirsi del suo futuro. Sono andato a trovare il mio ex allievo per ricambiare il dono della sua lettera. Davide ha una personalità forte, è meticoloso ed è capace di esprimersi con un sarcasmo lancinante. Uno dei suoi primi gesti nell'incontrarmi è stato quello di porgermi un foglio dattiloscritto, un foglio importante, per Davide molto importante. “Sono i diritti del malato – mi ha detto, poi sforzandosi di vedermi ha soggiunto – non del disabile, del malato, del malato”. Ho preso il foglio e mi sono impegnato a parlarne. Con quel gesto e quelle parole credo che Davide volesse significarmi che non parlava per sé, ma per una condizione universale dell'uomo quando è in uno stato debolezza transitoria e permanente a causa di una malattia. E ciò riguarda in qualche misura ogni essere umano. Davide è circondato dall'affetto di una famiglia esemplare, che si occupa di lui con la grazia forte di chi conosce il valore della vita in sé e attraverso la sofferenza di un proprio membro. A Davide non manca “nulla” di ciò che può avere in quella sua particolare condizione, ma lui si preoccupa per gli altri, sa bene che senza diritti la vita non ha dignità, senza diritti il dolore è anche umiliazione e vessazione, la malattia è violenza. Il monito che Davide ci lancia dalla maestà del suo dolore mira a sollecitare la costruzione di una società del diritto e della giustizia che sola può permettere agli uomini di rifuggire dalla vanità e dalla tracotanza per trarre ammaestramento dalla fragilità intesa come valore profondo della instabile ed aleatoria natura umana.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 15/06/2002


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