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Moni Ovadia

Il tricolore del gruzzolo

Il grande poeta triestino Carolus Cergoly, ex barone dell'impero ausburgico Ka und Ka, più tardi apertosi a simpatie titoiste, aveva il talento di saper ritrarre con pochi versi folgoranti la temperie di un'epoca intera come quella della nostalgia per il declino dell'ordine coloniale: “Tavolin de bar in Ponterosso/ Mister Grant, inglese d'Inghilterra / sentà, bevi caffè./ Tempo moderno no ghe va zo/ tempo d'inferno el disi/ una volta bastava un Monitor/ con tanto de bandiera inglese fora ancorado in rada/ perché un paese, disemo come l'India,/ no fiatassi più./ E cussì l'ordine regnava fino al Canale de Suez”.

In questi giorni mi sono spesso chiesto se il mio amatissimo Cergoly di cui mi piace rammemorare a braccio i versi, saprebbe rappresentare con altrettante implacabile sintesi l'era che il nostro paese sta attraversando. Ma dubito che ciò sarebbe possibile anche per un talento come il suo. Il lassismo morale, la confusione e l'insensatezza che regnano sotto il cielo alla latitudine dello Stivale sono difficili da condensare e mancano di qualsiasi attributo di rilevanza poetica, foss'anche la tragica ingiustizia del colonialismo. L'avvento al governo di una coalizione di centro destra mi aveva fatto ingiustamente ritenere che il sentimento di amor di patria avrebbe ricevuto un grande impulso, che ogni aspetto di tutela dei valori del sacro suolo avrebbe avuto la priorità assoluta. Macché! La Lega vuole il Belpaese trino, ma non uno e trino, solo trino. Come dice la saggezza popolare: il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Il buon dottor Jekill attratto dalla dignity del potere può cantare “Maruzzella” o “tenimmuce acussì anema e core”, ma il terribile Mr. Hyde ha nel cuore solo: “O mia bela madunina, cascia via i negher e i terun”. Il centro moderato di matrice democristiana tenta con garbata fermezza di contenere le intemperanze e il suo tentativo di difendere quel che resta della moderazione è commovente. Il partito del leader esprime una concezione della nazione semplice e univoca: il paese è un'azienda, i conti devono quadrare, costi bassi, profitti alti per il consiglio d'amministrazione.

Per questo scopo pezzi del patrimonio dell'azienda possono essere venduti, cogestiti, dati in affitto o in leasing. Ma quella che più stupisce è la reazione tendenzialmente blanda di AN , il suo understatement diplomatico al cospetto delle derive di un'idea forte di nazione. Non sentiamo la destra levare il grido di dolore per la patria profanata se non in qualche mediatica levata di scudi per l'inno vilipeso dal rock o in qualche estemporaneo rigurgito di nostalgia littoria. Quale sentimento nazionale lega dunque un'eterodossa coalizione? La patria del libero mercato forse, il tricolore del gruzzolo (mi si perdoni l'impertinenza). Ma quella di coniugare nazione e gruzzolo è una pia illusione, il denaro è per sua natura internazionale, transnazionale e metanazionale. Gli inglesi che il cosiddetto libero mercato l'hanno inventato fanno scuola. Da lungo tempo alla faccia di Mr. Grant inglese d'Inghilterra, hanno venduto a tedeschi e giapponesi tutte le aziende che furono l'orgoglio dell'impero. La Union Jack la issano solo in occasione delle parate tradizionali davanti a Backingham Palace o delle partite di foot-ball, magari in attesa che i gioielli monumentali britannici vengano venduti alle aggressive corporation del Sol Levante per farne dei giganteschi sushi bar, sempre che, sfruttando le spietate leggi della concorrenza, non arrivi prima il nostro governo offrendo al ribasso il Colosseo o gli Uffizi.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 29/06/2002


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