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Non cercate di sapere ciò che avvenne in via Milà |
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Una televisione satellitare ha trasmesso qualche mese fa una serie di documentari dal titolo La guerra a colori. Recentemente, se non ricordo male, anche Rai 3 ha messo in onda la stessa serie. Per quanto mi riguarda era la prima volta che vedevo la seconda guerra mondiale a colori e quelle immagini, forse restaurate, erano di straordinaria qualità. Fra i filmati ve n'era uno dedicato al Ghetto di Varsavia girato dai nazisti nel maniacale assillo burocratico di documentare ed archiviare le prodezze della Herrenrasse. L'effetto è stato dirompente. Il bianco e nero sia per la propria intrinseca natura, sia per il fatto di appartenere ad altra epoca culturale, conferisce alle immagini più dure una rassicurante distanza epica. L'istituzione dell'orrore mostrato a colori lo avvicina alle arre oscure della nostra normalità. Racconta quell'ieri per l'oggi. Quella sequenza cromatica di fotogrammi ha ferito la mia quotidianità. Che cosa fu il ghetto di Varsavia? Come altri ghetti voluti e creati dall'odio dei carnefici nazisti, fu l'iperbole assassina di un'idea germinata in una società cristiana permeata da una delle sue più gravi perversioni, l'odio antigiudaico. Il ghetto ed il segno giallo coattivamente apposto sugli abiti, doveva marchiare ed isolare i ripugnanti ebrei che si erano macchiati dal più orrendo dei crimini: il deicidio. I nazisti travalicarono il limite di un odio violento e talora sanguinario ma ponderato e lanciarono il progetto di un annientamento definitivo di cui i ghetti furono la prima fase. Nel ghetto di Varsavia, una parte della città che poteva ospitare forse trentamila persone, stiparono centinaia di migliaia di ebrei isolati da un muro e li affamarono fino alla morte, sottrassero loro ogni risorsa vitale, ogni protezione da malattie ed epidemie, li giustiziarono con i più ridicoli pretesti, li vessarono oltre ogni limite con un reticolo di regole assurde, quasi una macabra parodia del complesso codice comportamentale dell'ethos ebraico, a cui dovevano ottemperare pena l'abbattimento sul posto. Gli ebrei resistettero prima vivendo ad ogni costo, facendoli scuole, teatri, ospedali, persino luoghi di festa e di intrattenimento, poi insorsero dando vita al più fulgido esempio di lotta di tutta la Resistenza. Duecento uomini e donne perlopiù giovani e giovanissimi ridotti allo stremo e armati di Molotov e pistole, tennero testa ad una divisione dell'esercito tedesco armata fino ai denti che per avere ragione dell'insurrezione, detto tutto il ghetto alle fiamme. Gli ebrei che erano sopravvissuti alla fame, alle malattie, alla disperazione e alle esecuzioni sommarie furono deportati nei lager e ridotti in cenere. Ma quale fu davvero la vita in quell'inferno urbano? Io non dispongo di parole per dirlo. Mi affiderò a quelle di Ytzhak Katznelson cantore dello sterminio assassinato ad Auschwitz: C'è una strada a Varsavia, via Milà. Strappatevi il cuore dal petto e al suo posto metteteci delle pietre. Strappatevi dalle orbite gli occhi bagnati e al loro posto metteteci dei cocci: così non avrete visto nulla, non avrete saputo nulla. Tappatevi le orecchie per non sentire sordi! Sto per raccontare la storia di via Milà (...) Via Milà sta al di là di tutte le lacrime (...) Ci sono ancora ebrei a Varsavia (...) Magari non ci fossero! Che non fossero venuti al mondo! Ma visto che ci sono, meglio sarebbe se fossero morti prima di avere visto via Milà (...) Vi supplico: non cercate di sapere ciò che avvenne in via Milà. Moni Ovadia L'UNITA' 23/10/2002 |
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