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L'insopprimibile spirito di Caino |
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L'uomo nel corso della sua storia per non soccombere di fronte ad una visione autentica dei propri istinti più intimi, ha fatto ogni sforzo per inventare favole edificanti e garantire così una riserva di speranza al proprio futuro mitigando il feedback della propria inarrestabile coazione a ripetere soprattutto nell'ambito dei comportamenti perfidi e vili. Con lo stesso spirito perverso understatement, ha voluto leggere i moniti che all'umanità sono stati donati dai grandi libri. Negli ultimi anni mi è spesso capitato di riflettere sulla vicenda di Caino e Abele, che sono secondo la Bibbia i primi due uomini autentici in quanto nati da ventre materno i primi fratelli, i primi a doversi confrontare con una reciprocità relazionale e i primi a fallire il rapporto tout court. La vulgata ci dice di un buono e di un cattivo, di Abele, il pastore, i cui doni accurati sono graditi al Signore e di Caino, l'agricoltore, i cui doni impertinenti offendono il buon Dio. Segue poi una conclusione rude ma consolatoria: roso dal tarlo della gelosia e dall'invidia, il malvagio Caino uccide il mite ed incolpevole Abele. Non ci resterebbe a questo punto che attendere la dura punizione di Caino e magari ricominciare l'esperimento con altri uomini geneticamente modificati. Ma contro questa banale aspettativa, il Padrone dell'Universo invece di scegliere il ruolo del boia e dell'Onnipotente, istruisce un processo e incalza l'imputato con una domanda reiterata: Dov'è tuo fratello Abele?. Caino a tutta prima reagisce con un comportamento dai tratti struggentemente umani. Scappa, cerca di sottrarsi al giudizio, di sfuggire al suo giudice naturale, forse spera nella remissione del processo. Poi, trovandosi alle corde, mette in atto una singolare strategia di difesa. Non chiede pietà, non si giustifica, non vuole attenuanti. Caino spudoratamente ribalta la domanda del giudice per delegittimare le basi del processo: Sono forse io il custode di mio fratello?. Il Giudice Supremo accoglie in qualche misura la tesi della difesa: manda Caino libero, manifesta la sua radicale opposizione alla pena capitale e investe sul malvagio minacciando chi osi toccarlo di essere punito sette volte. Perché tanta generosa indulgenza e disponibilità? Forse perché l'umanità disponendo dell'opzione del libero arbitrio rivela una spiccata tendenza cainide. O forse perché Caino capisca a valle di una travagliata esistenza, ciò che non ha intuito a monte: la centralità etica dell'accoglienza. Qual'è infatti il suo vero crimine? La non assunzione di responsabilità per l'altro. E' pur vero che nessuno ha investito Caino della responsabilità per Abele. Farlo forse lo avrebbe reso guardia carceraria. E' altresì vero che nessuno ha chiesto a Caino il suo parere per mettere al mondo Abele e che lui si ritrova fra i piedi l'ingombro dell'altro. Caino non si sforza di capire che quell'ingombro è cha chance sublime di costruire la fratellanza con una libera scelta. Con la sua rigidità mentale e il suo solipsismo egotista la rifiuta, complice indirettamente Abele che non ha lavorato fino in fondo per farsi accogliere preferendo la scorciatoia dell'ubiqua bontà alle mani sporche che sono il risultato delle fatiche della mediazione. Malgrado i millenni di cammino, nella sostanza lo spirito originario di Caino resiste a ogni sollecitazione. Il Padrone dell'Universo privilegiava i doni di Abele in quanto essi provenivano dall'alterità e non per stabilire gerarchie fra uomo e uomo. Ma al di là delle ripetute sollecitazioni il Caino di oggi rimane ebbro di unicità malgrado non ci sia più la originaria complicità di Abele e maschera la propria vocazione con la globalizzazione economicista che è accoglienza dell'altro purché l'altro rinunci a se stesso. Il grande Caino combatte una guerra senza quartiere contro i piccoli Caini anch'essi posseduti dalle loro unicità. Le vittime di questa guerra sono inesorabilmente gli Abele sempre più abbandonati a se stessi. Moni Ovadia L'UNITA' 26/10/2002 |
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