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L'UNITA' 05/01/2002 |
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Don't cry for me Argentina, No more |
Eva Duarte al secolo Evita Peron nella versione filmata del celebrato musical Evita, interpretata da una grintosa e contestatissima Madonna, cantava ad una folla tesa e commossa dal balcone della Casa Rosada: don't cry for me Argentina, non piangere per me Argentina. Questa immagine lirica di un popolo sedotto da una donna mito contrasta fortemente con le immagini di rivolta caotica e furente che le televisioni di mezzo mondo eppure racconta hollywoodianamente il destino di un paese terribilmente attratto dalla demagogia, quella populista che ha reso inossidabile la leggenda peronista incarnata ancor più che dallo stesso Peron da quella donna minuta dal carattere d'acciaio che provenendo dal basso era riuscita a scalare la vetta del potere. Ma la discesa agli inferi della bancarotta percorsa dalla leggendaria Argentina, paese dalle cento bellezze e dai mille talenti, fibra sottoproletaria del suo tango porteño e intellighenzia borgesiana, così vicina, così lontana, questa volta non è stato causato da quello strano impasto giustizialista di vocazione popolare, nazionalismo e mistica del capo che ha prodotto nel suo seno destra e sinistra, non dalla brutale dittatura dei Videla naufragata penosamente militarista dell'assalto alle Malvinas-Falkland. Questa volta il baratro della spaventosa crisi economica è stato aperto dalle ricette infallibili del buonsenso liberista condito dalla natura imbelle e corrotta di un'intera politica. I peron-liberisti di casa nostra troveranno il modo di fare credere ai loro estasiati fedeli che la colpa di quanto accaduto nelle piazze di Buenos Aires è sicuramente dei comunisti, ma le persone a cui è rimasto un po' di senso della decenza devono riattivare i processi cognitivi per ricollocare l'idolo del libero mercato in quell'alveo di realtà da cui è prepotentemente tracimato per creare uno strisciante totalitarismo strisciante dal pensiero unico. Questa volta la protesta non è solo quella dei soliti descamisados che non vogliono accettare la marginalità esistenziale come destino, non si tratta di disordini dei sovversivi comunisti del Social Global Forum, questa volta nel cuore della protesta esasperata, con gli aspetti pittoreschi del cacerolazo c'è la classe media, leggendario zoccolo duro della palude politica chiamata maggioranza silenziosa. Scopriamo in Plaza de Mayo che quando gli uomini sono accomunati da una prospettiva di disperazione economico-sociale cadono persino le invalicabili barriere di classe e di forma mentis. Questo è un aspetto straordinariamente positivo della tragedia argentina. Oggi nessuno potrebbe affacciarsi dal balcone della Casa Rosada e cantare: don't cry for me Argentina. Oggi l'Argentina si attende che qualcuno pianga per lei e dopo avere pianto si rimbocchi le maniche per dare una mano al suo disastrato popolo. Noi italiani per esempio dovremmo al di là della facile propaganda di facciata, ricordarci che più della metà degli argentini sono figli della parte esule del nostro paese. Sicuramente non verseranno lacrime i soloni dell'iperliberismo statunitense che cinguettavano felici per l'adozione delle ricette che hanno portato l'Argentina alla bancarotta. Non verseranno lacrime perché saranno troppo impegnati ad inventare qualche vergognosa panzana per spiegarci che il libero mercato rimane la panacea di tutti i mali e che il dolore degli argentini è solo un incidente tecnico. Moni Ovadia L'UNITA' 05/01/2002 |
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