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Il sogno della pace è ancora possibile |
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Il grande uomo politico Nelson Mandela ha detto: La pace non è un sogno, ma per ottenere bisogna sapere sognare e se l'ha detto lui c'è da credergli. Mandela è uno dei pochissimi leader del terribile secolo breve ad aver coniugato utopia e governo senza cadere nell'orrore del bagno di sangue. Non è tuttavia prerogativa dei soli politici dare preziose indicazioni sul cammino verso un mondo giusto. Il geniale scrittore ebreo praghese Franz Kafka, a conclusione del quinto dei suoi otto quaderni in ottavo, ci lascia questo pensiero: La via che arriva al prossimo è, per me, lunghissima. Non solo per lui quella via è lunghissima, ma lo è per la gran parte degli uomini e dei popoli. Essa non è il tratto fisico di strada che ci separa dal conflitto rappresentato, ma è soprattutto il cammino interiore nella dimensione temporale che trasforma il confine dal luogo di separazione in luogo di incontro. Il Medio Oriente oggi è il luogo più lontano da questa visione lirica della pace, ma nessuno è in grado di conoscere e meno ancora di prevedere il senso del farsi dei cammini storici. E sognare non è ancora proibito. Allo stato delle cose il confine in cui l'incontro è possibile oggi è la volontà del governo degli Stati Uniti d'America. La road map del quartetto è di fatto un piano degli Usa. Del resto la superpotenza ha demolito quel poco di legalità internazionale basata sull'Onu che esisteva e l'ha trasformata in una questione autoreferenziale, agli altri grandi è rimasto il piano della protesta o l'opportunità di aggregarsi democraticamente alla volontà del potente alleato. Avendo gli americani vinto la guerra preventiva contro l'Iraq con pochissima spesa e molti risultati, fra i quali quello di avere impartito una concreta lezione agli altri stati della regione, sono in grado di dettare le condizioni della loro pace. Ai palestinesi hanno di fatto imposto l'emarginazione di Arafat e la nuova leadership di Abu Mazen riconosciuto come interlocutore credibile anche dal primo ministro d'Israele, Ariel Sharon, agli israeliani chiederanno verosimilmente di fare la loro parte il che significa non porre troppe precondizioni all'inizio delle trattative che sottendono anche il sedersi ad un tavolo con la Siria il più presto possibile. Le questioni nell'agenda sono note: i palestinesi chiedono un vero stato sui confini del '67 con la parte araba di Gerusalemme come capitale e inoltre pongono la delicata questione dei profughi del '48. Gli israeliani chiedono come assoluta priorità lo smantellamento delle strutture terroristiche e la sicurezza, priorità sentitissima della grande maggioranza dell'opinione pubblica e cavallo di battaglia del governo conservatore il quale si dice in cambio pronto a dolorosi sacrifici, senza ovviamente specificare quali per non rivelare le proprie carte prima delle trattative. Riusciranno ad incontrarsi le rispettive esigenze dei due popoli sul confine tracciato dagli interessi economico-strategici degli Usa? E quel confine nel medio termine resisterà alle imprevedibili aggregazioni sciite ed alle altre spinte passionali che caratterizzano quel bacino incandescente? Il governo di George W. Bush ha una fede incrollabile nel potere taumaturgico del libero mercato targato stelle e strisce, lo ritiene capace di portare democrazia e libertà beninteso sempre targate stelle e strisce. Personalmente non credo che un confine tracciato dalla prepotenza del denaro sia un luogo su cui costruire una pace autentica, tuttavia se quel confine farà cessare almeno la carneficina di innocenti di questi ultimi anni questo sarà un gran bene. Ottenuto ciò ci vorrà un grande lavoro perché gli esseri umani ricomincino a parlarsi. Il genio di Franz Kafka ha visto davvero lontano quando ha scritto: le religioni si perdono come l'uomo e non vi è nessuno dubbio che quella del danaro, tra le religioni, sappia essere la più integralista. Moni Ovadia IL SECOLO XIX 14/05/2003 |
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