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Moni Ovadia

La piccola Pace

Il mio quasi ventennale lavoro sulla cultura ebraica spesso fa ritenere a molti dei miei conoscenti o a persone del mio pubblico, che io abbia grande successo in posti come Israele o New York in cui alta è la densità do popolazione ebraica e quindi di potenziali spettatori entusiasti. Questo non corrisponde assolutamente alla realtà. All'estero, da me come italiano – ancorché ebreo e bulgaro di nascita – ci si aspetterebbe forse, secondo i canoni immarcescibili dello stereotipo, una qualche forma di commedia dell'arte o una sapida ed eccessiva proposta di teatro di ricerca. Ciononostante in Israele ci sono arrivato mercoledì per un'unica serata all'Israel Festival grazie alla collaborazione con Gideon Lewenson un importante compositore di musica contemporanea di Gerusalemme, il cui lavoro sta ottenendo un crescente consenso in tutta Europa.

In volo verso la “Terra Santa”, sull'aeroplano sono stato riconosciuto da alcune persone, un sacerdote cattolico, il sindaco di una cittadina toscana e un rappresentante del movimento cooperativo che venivano in Israele per organizzare un gemellaggio doppio con una cittadina palestinese ed una israeliana. Mi hanno proposto di partecipare alla cerimonia. Lo farò. Poco dopo, una volta sbarcati, in fila per il controllo passaporti, un uomo sulla trentina si sporge dalla fila accanto per stringermi la mano, ci siamo già conosciuti mi ricorda, si occupa di fumetti e cinema d'animazione è qui per cento del comune di Roma. Il sindaco Veltroni lo ha incaricato di seguire un progetto sulla pace creato da bambini con il linguaggio dei fumetti e dell'animazione. Mi sento tonificato da questi due incontri. L'arrivo a Gerusalemme è come sempre entusiasmante, questa città è davvero speciale e a mio parere lo è in ogni sua parte. Il clima è benevolo, il caldo rinfrescato da una piacevole brezza. Un toccasana per chi sta arrivando da una Milano torrida con un tasso di umidità nell'aria quasi tropicale. Tutto appare leggero per me e per mia moglie Elisa che mi accompagna. Ma appena saliti in stanza siamo risvegliati dall'innaturale quiete del ripetuto e petulante suono delle sirene. E' evidente, c'è stato un attentato. La televisione lo conferma. Sedici morti innocenti e non ricordo più quanti feriti. E' la risposta all'esecuzione mirata di un leader di Hamas che ha coinvolto diversi civili inermi a sua volta in reazione all'esecuzione di alcuni soldati israeliani al valico di Erets. Più tardi, altra esecuzione mirata ad opera degli elicotteri israeliani che di nuovo uccide anche civili inermi fra cui bambini. Seguono dichiarazioni ultra bellicose da entrambe le parti. Sono angosciato, elisa subito dopo la notizia dell'attentato è uscita a comprare qualcosa. Non posso impedirmi di pensare: e se ce ne fosse un altro proprio dove si trova lei?” Le persone con cui veniamo successivamente in contatto non sembrano essere scosse, commentano senza emozione. Quando arrivo in teatro per le prove Gideon mi saluta con un umoristico: “Quite a welcome eh?”.

Sì davvero una bella accoglienza. Non è cinismo, abitudine o rassegnazione, è solo che la vita deve necessariamente continuare e considerati gli attori del dramma, è inevitabile che chi vive qui debba sapere reagire. Hamas rifiuta la road map e si comporta coerentemente per sabotarla, Ariel Sharon è irremovibile, ad ogni attentato reagisce duro con l'esercito quasi automaticamente, nessuno è in grado di fargli cambiare idea, fa parte della sua cultura profonda credere che l'uso della forza sia in ogni caso il minore dei mali. Lo smarrito Abu Mazen, tanto coccolato dagli americani e dagli israeliani è totalmente impotente se tutto quello che gli si da è lo smantellamento di un paio di roulottes e l'abbattimento di un po' di ferraglia da insediamento provvisorio, Arafat e arabi moderati si affidano alle dichiarazioni. Come pacificatore, senza le guerre preventive dai facili esiti scontati, il presidente americano per il momento sembra valere poco.

Da qui il momento della “grande” pace sembra remoto, ma quello della piccola pace come sempre è necessario ed irrinunciabile per costruire il futuro.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 14/06/2003


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