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L'agenda degli impegni del nostro governo è resa incandescente dalla questione dell'immigrazione che si riacutizza alla notizia di ogni nuovo sbarco di clandestini. La componente forcaiola e nord-nazionalista dell'esecutivo ha proposto di risolvere il problema con mezzi sbrigativi cioè cannoneggiando le imbarcazioni che trasportano i criminali che vengono ad inquinare le terre padane. Su questa proposta delirante la compagine governativa si è divisa e il ministro incaricato Pisanu ha preso le distanze dai furori leghisti e spiegato in Parlamento in termini realistici ed equilibrati la realtà dei processi dell'immigrazione nel nostro paese chiarendo fra l'altro che l'economia del nostro paese ha un bisogno vitale di lavoratori immigrati. Ma il presidente del Consiglio dovendo pagare un tributo ad ognuna delle componenti della sua coalizione le quali lo ripagano votando generosamente compatte le leggi che lo riguardano personalmente ha promosso la firma di un accordo con il governo libico, secondo quanto riportato da un'agenzia Ansa, per ottenere alle forze navali italiane l'autorizzazione di pattugliare le acque territoriali di quel paese e quindi fermare alla fonte la terribile epidemia dell'immigrazione clandestina. La Lega avrebbe sicuramente preferito le cannonate, ma si sa in politica non si può avere tutto. Le parole sensate del Ministro Pisanu e di coloro non cambiano e neppure scalfiscono la mentalità e la cultura che generano il disprezzo e l'odio per il diverso, per l'altro, per il povero. Esse nascono da una profonda psicopatologia sociale che non recede davanti a nulla perché non si nutre di pensiero e di ragioni, non si confronta con la realtà, ma vive di pregiudizi rozzi che formano una barriera contro i più elementari sentimenti umani di solidarietà. Personalmente per avere vissuto da piccino con la mia famiglia l'esperienza del profugo provo una irrefrenabile sensazione di disgusto anche solo di fronte al fatto che sia tollerato nelle nostre istituzioni un linguaggio di violenza contro degli esseri umani colpevoli del reato di cercare da noi un futuro di dignità e di vita per le proprie famiglie: quelle parole sarebbero sconce in qualsiasi nazione, ma lo sono a fortiori in Italia. Il nostro paese ha conosciuto un'emigrazione senza eguali. Nel corso di un secolo trenta milioni dei suoi figli hanno preso la via dell'esilio spinti dalla fame, dalle necessità del lavoro, della speranza di una vita migliore, prospera o più giusta. Sono partiti da ogni angolo dello stivale, dal Piemonte, dalla Toscana, dalla Campania, dalle Puglie, dalla Calabria, dalla Sicilia. Molti hanno trovato fortuna o almeno la vita decente che la propria patria gli negava. I loro figli sono diventati cittadini a pieno titolo delle terre che li accoglievano, taluni hanno procurato prestigio e lustro al loro nuovo paese. Ma prima che questo accadesse hanno dovuto spesso subire insulti e vessazioni. La stampa dei leghisti di allora di quelle nazioni li riempiva di insulti, di calunnie, i cittadini per bene rendevano loro la vita difficile, non affittando gli alloggi, sfruttandoli bestialmente sul lavoro o discriminandoli socialmente. Le feroci caricature della stampa reazionaria li dipingeva come ratti di fogna che venissero ad infettare le virtù locali con la peste della Mafia. Ora è inutile raccontarsela come fanno certi benpensanti satolli ed egoisti sostenendo a vanvera che: noi eravamo diversi!. Non è vero eravamo uguali, maledettamente uguali, con le stesse facce smarrite, con la stessa paura, con la stessa speranza. Persino le parole ragionevoli e le ragioni della realpolitik in questo caso diventano una beffa all'idea stessa di una civiltà dell'uomo. La legge Bossi-Fini e la mentalità xenofoba che le ha generata meritano solo due parole: schifo e vergogna! Moni Ovadia L'UNITA' 28/06/2003 |
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