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La goccia d'acqua |
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Prove di tregua. La road map sembra essere entrata nella sua prima fase operativa dopo che ripetuti atti di violenza dalle due parti l'avevano messa a rischio. La chiara volontà degli Usa di arrivare ad una qualche forma di pace nel luogo simbolicamente più importante dello scacchiere mediorientale ha avuto ragione delle residue resistenze di israeliani e palestinesi. Bush, considerate le falle che si aprono nell'affare iracheno, ha un vitale bisogno di un'affermazione politica in quell'area. Una sconfitta della sua mediazione nella questione israelo-palestinese rivelerebbe il fallimento della pax americana e segnerebbe verosimilmente il suo declino. L'avvio della pace, anche di una pace precaria piena di se e ma costituirebbe invece un trionfo per la politica di egemonia degli Stati Uniti e ridimensionerebbe tutte le pur fondate voci critiche. Ma George W. Può tanto? Anche se il 70 80 per cento degli israeliani è favorevole ad un ritiro dei territori in cambio della pace, se la maggioranza dei palestinesi lo è altrettanto ed è stremata dalle spaventose condizioni di esistenza in cui vive, le due parti riusciranno ad avere ragione dei loro estremisti? Dopo la tregua nelle loro azioni di guerra ed il ritiro dell'esercito israeliano dei territori rioccupati all'indomani delle seconda intifada, sapranno Mazen e Sharon continuare con la necessaria determinazione e sapranno gestire il rientro in campo della fenice Arafat che ogni volta rinasce dalle proprie ceneri? Hamas, Jihad, e le brigate dei martiri di Al Aqsa continueranno ad accettare di essere rappresentati almeno formalmente da palestinesi graditi ad Israele e all'America a misura che procedono le trattative? E Sharon saprà davvero procedere allo smantellamento delle colonie visto che per il momento ad ogni colonia illegale che viene rimossa altre tre sorgono in sua vece magari a poche centinaia di metri? Difficile dare una risposta univoca anche perché non è calcolabile la soglia di sopportazione alle pressioni congiunte statunitensi ed egiziane sui palestinesi e a quelle solo statunitensi sul primo ministro di Israele Ariel Sharon. Tuttavia se il processo avviato da questa tregua dovesse continuare e pur con tutte le difficoltà ed i limiti dovesse portare alla creazione di uno stato palestinese con confini accettabili sul piano della dignità oltreché sul piano del realismo politico, se la piena sicurezza di Israele fosse contestualmente garantita attraverso una pace globale con tutti i Paesi arabi ed islamici della regione, il mondo non sarebbe più quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Così come la guerra abitua la guerra, la pace anche se con maggiore fragilità abitua alla pace, gli Arafat, i Sharon e i Netaniahu, i marvan Barguti, gli sceicchi gli Yassin si eclisserebbero presto. Le classi dirigenti dei conflitti di lunga durata se riescono ad arrivare alla pace con quell'atto stesso preparano la propria uscita di scena in quanto non hanno gli strumenti per entrare in un futuro che non gli assomiglia. Con il tempo emergerebbero invece che i contrasti, le affinità fra il mondo ebraico e quello islamico. Due monoteismi puri non hanno fra di loro ragioni di conflitto sul piano spirituale profondo. Un rabbino del Marocco di nome Leon Ashkenazi soprannominato Manitù dai suoi allievi, era solito ripetere: Un buon ebreo assomiglia come una goccia d'acqua ad un buon musulmano. In un contesto di pace e di scambio di culture e di idee, oltreché di cooperazione economica, quella terra che per secoli ha tenuto fede ad uno dei suoi nomi: Erez Damim (terra dei sangui) potrebbe indossare con pieno titolo la regalità del suo nome più autentico: Erez Hakodesh (terra di santità) in cui il deserto più arido fa fiorire la spiritualità più rigogliosa. Certo questo è un sogno ne sono consapevole, ma in questi giorni il sangue ha cessato di scorrere. E' già molto. Moni Ovadia IL SECOLO XIX 03/07/2003 |
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