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Moni Ovadia

Repetita Iuvant

La polemica intorno alle parole improvvide pronunciate da Silvio Berlusconi riguardo alla presunta mitezza di Benito Mussolini nel corso di un'intervista ad un giornale inglese, è di quelle destinate a durare più dello spazio di un mattino. Sono parole che hanno ferito, fra i molti cittadini italiani, anche gli ebrei, bersaglio delle più vili e crudeli persecuzioni della dittatura fascista.

Occupandomi da diversi lustri di cultura ebraica, in queste circostanze vengo spesso sollecitato da alcuni media, ad esprimere la mia opinione. Giovedì scorso sono stato invitato a partecipare al programma di approfondimento di Rai 3 Primo Piano in cui è intervenuto anche il presidente dell'unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Amos Luzzato. A trasmissione conclusa mi sono ritrovato a riflettere su ciò che avevo detto, probabilmente a causa di un sottile disagio che provavo verso il tono molto perentorio delle mie stesse parole. Perché ero stato così poco interlocutorio? Non è mia consuetudine esserlo, non è nel mio costume chiudere seccamente le questioni, non lasciare possibili aperture. Cosa mi ha spinto a questo rigore non solo concettuale, ma anche di stile? Verosimilmente l'esasperazione.

Non è più tollerabile lo stillicidio che le forze politiche di questo governo, fatte salve le debite eccezioni, stanno facendo del senso che fonda la nostra democrazia, attraverso un uso spregiudicato, ipocrita e irresponsabile del linguaggio. Le parole ed i fatti sono due aspetti dello stesso pensiero. Il caso del regime nazista mostra in modo paradigmatico che non c'è iato fra le dichiarazioni e le azioni. Le parole del Main Kampf e quelle degli incandescenti discorsi pubblici del Fuehrer e dei suoi compari, furono la materia con cui si impastarono i mattoni delle camere a gas e dei forni crematori. Ora non è mia intenzione azzardare improponibili equiparazioni con la situazione di oggi. E' stato giustamente scritto che i drammi della storia non si ripetono mai nella stessa forma, ma si ripetono in forma di farsa. Ciò non significa tuttavia che la farsa sia innocua. Tornando al merito della questione, il presidente del Consiglio sostiene, con maniacale monotonia, che le sue parole sono state travisate ovvero che lui non è mai responsabile, che è lo spirito perverso dei comunisti a mettergli in bocca significati non previsti nella sua accezione della lingua italiana. Se ciò non bastasse, argomenta con puntiglio nel suo personalissimo stile da pacca sulle spalle, che l'intervista non era tale, ma era una informalissima chiacchierata goliardica fra le bollicine ed i fumi inebrianti dello champagne. Che l'intervistatore inglese lo smentisca è naturalmente irrilevante per lui circondato com'è da ossequienti cortigiani, ma anche se qualcuno di essi, preso dal panico per le conseguenze nefaste delle sue parole in libertà, gli facesse notare che non era il caso, il Cavaliere si affretterebbe a spiegargli, con paterna sopportazione, che la sua è stata solo una battuta umoristica. Personalmente non sono un sostenitore del politically correct, anzi, per me l'uso dell'umorismo – anche sugli argomenti più duri – è accettabile anzi talora raccomandabile, ma dipinece dai contesti e dai curricola vitae delle persone che ne fanno uso. Se Berlusconi fosse un noto antifascista, se la sua cultura di politico fosse inequivocalbilmente legata alla Resistenza ed ai valori della Costituzione, le sue sarebbero tuttalpiù, cattive battute di chi non è particolarmente dotato per l'arte dell'umorismo. Invece l'inventore di Forza Italia con quella cultura che, oltre a non avere nessun legame con tutto ciò che ha il più vago sentore di sinistra, odia tutto ciò che gliela ricordo anche da lontano, tende inevitabilmente ad ammirare chi condivide con lui stessa passione.

Ma siccome non è mai troppo tardi, se egli tiene davvero a rappresentare tutti gli italiani tiene davvero a rappresentare tutti gli italiani ed essendo un presidente proteiforme – ora imprenditore, ora operaio – potrebbe anche incarnarsi in presidente scolaro delle elementari e scrivere mille volte alla lavagna: Viva la Resistenza! Abbasso Mussolini! Magari dotto lo sguardo severo di un confessore spirituale che gli ricordi: “repetita iuvant”.

Moni Ovadia – L'UNITA' – 20/09/2003


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