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Il dito nella piaga |
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Il quotidiano La Repubblica ha ospitato giovedì scorso un importante articolo di David Grossman che prendeva spunto dal rifiuto di ventisette piloti dell'aeronautica militare israeliana di continuare a compiere le esecuzioni preventive mirate contro esponenti di Hamas, Jihad e Martiri di Al Aqsa, le organizzazioni palestinesi che praticano il terrorismo all'interno dello stato di Israele e che, come ha dimostrato la goffa vicenda delle spie Fbi, non sono solo dedite al terrorismo, ma anche ad attività sociali. Il drammatico gesto di uomini noti per la loro lealtà, per lo spirito di servizio e per la disponibilità al sacrificio in difesa del loro paese, va ad unirsi al rifiuto di alcune centinaia di ufficiali e soldati dell'esercito che già da oltre due anni si rifiutano di prestare servizio nei territori palestinesi occupati nel '67 all'indomani della guerra dei Sei giorni. Per quanto limitata sul piano dei numeri, questa scelta ha un altissimo valore pratico e simbolico e apre una significativa lacerazione nel tessuto della società israeliana nonché delle comunità ebraiche della diaspora, soprattutto se si considera che proprio in questi giorni, un uomo delle istituzioni come Avraham Burg, ex presidente del parlamento israeliano e protagonista di primo piano del movimento sionista storico, ha pronunciato parole assai pesanti sulla situazione morale di Israele a seguito dei quasi quarant'anni di occupazione della Cisgiordania e di Gaza e della conseguente infausta colonizzazione di parte di quelle terre. Le motivazioni dei renitenti sono semplici e a mio parere sane ed inconfutabili: sono disposti a combattere e morire se necessario per la difesa del loro paese, ma non vogliono occupare un altro popolo, essere i suoi gendarmi e non vogliono avere sulla coscienza vittime innocenti, vittime civili che siano bambini, donne o vecchi. Grossman scrive che quando si fanno morti incolpevoli per colpire il nemico, ci si apparenta alla logica dei terroristi e in qualche misura si diventa come loro. La gran parte degli israeliani ma anche degli ebrei della diaspora sono recisamente contrari a questo modo di pensare, ritengono inaccettabile un simile argomentare. I più accesi e passionali dello schieramento conservatore lo considerano tradimento, ma tutti loro, moderati ed estremisti, avanzano a difesa del comportamento dell'attuale governo d'Israele ragioni forti. Prima fra tutte, reiterata con ossessiva insistenza, la sicurezza dei cittadini esposti alla brutalità terrorista, seconda la generale ostilità del mondo arabo verso l'esistenza stessa dello stato d'Israele, la posizione di non interrotta belligeranza con diversi paesi confinanti e poi a seguire, il mai sopito odio antisemita magari travestito da antisionismo, e anche se inespresso, l'incubo della Shoah ancora recentissima nella memoria dei sopravvissuti. Non bisogna dimenticare che anche se solo sul piano fantasmatico, ogni ebreo è un sopravvissuto. La somma di queste più che legittime ragioni, produce tuttavia un effetto che rischia di essere perverso e di rivolgersi contro quegli israeliani e quegli ebrei stessi: la legittimazione acritica di qualsiasi comportamento messo in atto da ogni governo israeliano. Considerando che la logica della forza contro i terroristi che non temono la morte e sono intenzionati ad alzare il tiro, può essere solo quella di picchiare sempre più duro come dimostra l'azione in territorio siriano, il numero di coloro che si metteranno di fronte alla propria coscienza è destinato a salire, così come è destinato a crescere, il tasso di ottundimento nei confronti di ogni questione morale per sposare un nazionalismo furioso ostinatamente chiuso in sé, in coloro che si credono per definizione dalla parte del diritto. Ora, Israele è un paese democratico, culturalmente avanzato, tendenzialmente prospero, militarmente fortissimo e gode dell'incondizionato appoggio della superpotenza americana. Pertanto risulta inquietitudine il fatto che, malgrado la sanguinosa, ininterrotta contabilità dei morti, malgrado il monito-etico che proviene da combattenti leali, fra i quali diversi considerati eroi, non riesca a trovare il coraggio di rischiare l'unica via pienamente giusta e morale: l'evacuazione dei territori del popolo palestinese e il piano per lo smantellamento delle colonie. Moni Ovadia L'UNITA' 11/10/2003 |
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