Belem ( Brasile)
Sono un giornalista che si
occupa dell'Amazzonia, e vivo in Amazzonia. Faccio le stesse cose
di ogni giornalista del mondo: cerco notizie, le controllo, le
scrivo. Ma l'Amazzonia è un mondo a parte e, dopo anni
difficili, la persecuzione di poteri che corrompono ogni piega
della vita pubblica mi ha trascinato sull'orlo di una condanna
per il momento evitata. Per il momento: ho rischiato ( e non è
finita) un anno di reclusione o il pagamento di sei mesi di
stipendio minimo perché, malgrado minacce, e un'infinità
di querele, sono ancora incensurato. Ce l'ho sempre fatta, da
solo, a dimostrare di aver semplicemente registrato la verità.
Ma la nuova condanna rianimerebbe vecchie censure e la pena
diventerebbe lunga anche perché questa volta è in
gioco qualcosa di talmente inverosimile da imbarazzare la giuria
brasiliana. Un grottesco che il mondo esterno immagino faccia
fatica a prendere sul serio. Il caso riguarda un colossale
“grillagem”, vuol dire appropriazione
indebita di terre del demanio mediante documenti falsi o
inesistenti e le decisioni favorevoli a questi
“grileiros” dei magistrati chiamati a
indagare e decidere a chi assegnare enormi proprietà:
Indagano dal 1996 e tornano sempre al punto di partenza. Intanto
il furto continua. E chi avverte “attenzione stanno
rubando”, finisce nei guai. Il mio tipo di guai. Ecco
la storia. Finora hanno rubato cinque milioni di ettari di
foresta, ma potrebbero diventare sette milioni se i grandi ladri
non vengono fermati. L'estensione corrispondente al cinque per
cento dello stato del Parà, largo 1,2 milioni di
chilometri quadrati: grande come la Colombia appena di là
dal confine, quai un quarto dell'Italia.
E' una foresta speciale: viene
chiamata oro verde perché raccoglie la maggiore di alberi
di mogano dell'Amazzonia. Il mogano si vende agli importatori
d'Europa a 1800 dollari al metro cubo. L'oro verde vale quasi più
dell'oro giallo che “garimpeiros” clandestini
e le holding scavano nello stesso territorio. Anche il prezzo dei
grandi mercati è lontano dal Brasile come la luna. Un
metro cubo di mogano qui viene pagato cento dollari. Ed è
un tesoro che scatena conflitti; continua a seminare morti.
Ne 1923 lo stato Brasiliano
aveva concesso a imprese private permessi per poter tagliare
piante di castagno e di seringa ( nome dell'albero dal quale si
estrae il caucciù) in sole quattro estensioni larghe al
massimo 30 mila ettari. Il contratto aveva la durata di un
anno. Decadeva automaticamente se non veniva rinnovato. In
qualche caso lo è stato, ma solo in qualche caso e solo
per 30 mila ettari. Poi la guerra in Europa , il disinteresse del
mercato fanno sì che svanisca la convenienza del tagliare
piante. Le autorizzazioni decano automaticamente, ma i governi
stranamente si distraggono e mai formalizzano in modo ufficiale
la fine dei rapporti anche se scaduti dopo un anno e non più
rinnovati vengono considerati sepolti per sempre. E i ministri e
legislatori brasiliani, le loro carte e gli atti parlamentari,
continuano a considerare questi territori sotto la gestione
diretta del demanio statale. Ma i successori dei “coronèis
de barranco”, specie di signori feudali autorizzati
provvisoriamente, in quel 1923, a sfruttare le terre, non si
perdono d'animo: appena il mercato ricomincia ad interessarsi al
legno pregiato, mogano soprattutto, portano i contratti scaduti
da tempo immemorabile negli studi dei notai e ne registrano la
proprietà. E una funzionaria dello studio notarile di
Altamira, capitale dello Xingu, conferma certe proprietà
senza controllarne l'origine. E sena battere ciglio accetta il
principio del “titolo habil” ereditato
– si dice – al momento della sostituzione,
fine Ottocento, della monarchia dell'imperatore portoghese Pedro
II con la repubblica. Nessuno ha mai visto il documento. Non ne
esiste traccia nei registri di stato e non è in grado di
esibirlo chi ne invoca l'applicazione. Insomma, una legge
fantasma, e non è il solo fantasma sul quale prospera la
rapina.
L'accaparramento di foreste
L'accaparratore inarrestabile e
a suo modo geniale di foreste preziose, è il capo di una
banda famosa di “grileiros”, vale a dire gli
invasori voraci dei “grillagem”: il suo nome
è Carlos Medeiros. Solo un nome perché nessuno l'ha
mai visto. Non esistono foto, documenti che ne provino
l'esistenza o almeno una firma su un pezzo di carta. Niente. Ha
cominciato e continua a pretendere 12 milioni di ettari ( sempre
tendendo d'occhio il mogano) sparsi in nove municipi del Parà.
Estensioni attorno a Belem, capitale dello stato, quasi un
milione e mezzo di persone, entra nelle pretese del fantasma. Né
funzionari, né i legali che ne allargano le pretese
ammettono di averlo incontrato in carne e ossa. Eppure i suoi
avvocati non si fermano: fanno la spola tra studi notarili e aule
di tribunale. Chiedono, pretendono esibendo documenti
improbabili, sempre evocando il fantasma base, quel “titulo
habil”. Difficile far credere fuori dal nostro mare
verde come tutto questo possa succedere nel paese più
importante dell'America Latina, 180 milioni di abitanti che ormai
fanno parte del gruppo delle nazioni considerate emergenti. Si
parla di una nostra presenza stabile nel futuro consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite. Nel ventre di uno stato moderno
impegnato a cercare nuove strade per combattere povertà e
sottosviluppo, i fantasmi continuano a rubare i tesori con carte
bollate e le sentenze scandalose di certi magistrati.
Due mondi si intrecciano senza
sfiorarsi. Io racconto cosa succede nel paese dei
“grillagem” rassegnandomi ad una esistenza
complicata. Ma non mi arrendo.
Il “fantasma”
L'azione
giudiziaria si è aperta nel '96. I “grileiros”
continuavano ad inglobare proprietà e quando il furto ha
superato i 5 milioni di ettari, l'Instituto de Terras do Parà
( Iterpa) chiede al tribunale di Altamira di annullare la
proprietà della fazenda Curuà che, da sola,
occupava e sfruttava 4,7 milioni di ettari. A quei tempi i
“grilleiros” non usavano ancora nomi finti,
insomma personaggi fantasma come Carlos Medeiros, e l'avventura
dei coronéis de barranco si trasforma in imprese
registrate attorno al capo cordata Cecilio di Rego Almeida,
proprietario della C.R.Almeida, una delle società di
costruzioni più potenti del Brasile. Il presidente
dell'Istituto de Terras manda al giudice i documenti che provano
la proprietà dello stato, sollecitando una sentenza che
metta in guardia chi, per imitazione o forse convinto della
esistenza di una legge inesistente, sta allargando altri
furti. Il giudice Torquato Alencar gli dà
ragione. Subito l'impresa Almeida ricorre al giudice d'appello
Joao Alberto Paiva il quale annulla la sentenza che restituiva le
foreste allo stato e riconosce la proprietà al grande
speculatore. “E' inquestionabilmente proprietà
privata”: potere pubblico, polizia federale e la
procura della repubblica dell'istituto delle Risorse Rinnovabili
e del Funai ( Fondazione nazionale degli indios) hanno torto. Per
decisione del tribunale incaricato di accogliere o respingere il
ricorso di chi aveva rubato quasi una nazione, l'udienza si tiene
in un'ora insolita: sette del mattino, molto prima dell'apertura
consueta dei tribunali del paese. Non era mai successo nella
storia giudiziaria brasiliana. Quando il procuratore
dell'Instituto Terras do Parà, Iterpa, arriva per
partecipare al dibattito ed esporre le sue buone ragioni, i tre
magistrati che all'unanimità avevano dato ragione al
grande speculatore, erano partiti “per un viaggio di
lavoro all'interno del Parà”. Un impiegato gli
comunica la sentenza. Tutto finito. Dopo il riconoscimento
della proprietà riconosciuta escludendo lo stato, la
Fazenda Curuà continua naturalmente ad allargarsi
assumendo il controllo di un'area molto estesa: il Siringao Monte
Alegre. Lo racconterò un'altra volta.
La girandola dei ricorsi
Comincia
un girotondo di ricorsi, sentenze di esproprio annullate da altre
sentenze. Per 28 mesi spariscono i documenti che sintetizzano i
motivi d'appello degli Istituti statali e quando questi documenti
riaffiorano nel gennaio 2003, riaffiorano assieme alla sentenza
conclusiva emessa dal giudice Luiz Ernane Malato. Il quale
giudice si dichiara incompetente ad esaminare il ricorso dello
stato in quanto lo stato non aveva avuto la capacità di
provare i suoi diritti sulle aree in mano ai privati. E' il suo
parere. Ma si è scoperto che, emesso il giudizio, dopo
averlo consegnato solo agli avvocati delle grandi imprese, Luiz
Ermane malato aveva lasciato la magistratura per continuare gli
studi a San Paolo. E' più o meno la storia del giudice
d'appello del Paiva , quello che alle sette del mattino si vede
confermata la decisione che garantiva cinque milioni di ettari.
Firma il documento e subito dopo va in pensione. Resta il
mistero dei 28 mesi durante i quali ricorsi e sentenza sono
spariti senza sapere quali mani li hanno conservati e dove queste
mani li hanno custoditi. Curiosità su due sentenze che
valgono milioni di dollari e i cui protagonisti lasciano per
sempre i tribunali dopo averle firmate.
Il
terso atto processuale arriva due anni e mezzo dopo ad
Altamira: La signora giudice Danielle Buhmeim chiamata a
valutare le solite carte, decide di spogliare la CR Almeida dalla
proprietà, ma la sua decisione viene subito revocata nel
successivo appello dal giudice maria do Ceu Cabral Duarte, a
Belem: dopo aver ricevuto gli atti del ricorso da parte degli
speculatori della CR Almeida, emette sentenza basandosi solo
sulle ragioni di chi non vuol perdere 5 milioni di ettari, senza
attendere, quindi esaminare, gli atti del processo precedente di
Altamira. Si accorge dell'errore ( il processo stava vivendo
l'appello successivo che aveva svelato l'incongruenza della sua
sentenza), Maria do Ceu Cabral Duarte si scusa e annulla il suo
giudizio. Ma quando racconto le strane contorsioni, mi
denuncia. Poi la seconda denuncia e nuove minacce di
condanna. Accuse formali. In questo, come in tutti gli altri
miei processi, nessuno si preoccupa di esaminare i contenuti del
contendere e provare che le notizie da me scritte sono false.
Terreno talmente pericoloso che non si ha il coraggio di fare
almeno finta di provarlo.
Ecco
la storia. Per un passaggio di alchimie notarili, un'area
grande quasi mezza Italia può evaporare dal patrimonio
pubblico e materializzarsi in un patrimonio privato destinato a
controllare almeno cinque milioni di ettari dove crescono le
piante più nobili dell'Amazzonia.
Tredici processi
Mi
sono convinto che i brasiliani non riusciranno mai da soli a
difendere l'Amazzonia dall'assalto degli speculatori bene
organizzati in ogni ramificazione. Serve un intervento esterno.
Lo pensano tutti, ma non è semplice formulare la richiesta
con chiarezza e coraggio. Ho provato, ci sto provando. Otto
dei tredici processi che ho dovuto affrontare riguardano le
imprese dei “grilagem” e l'abbattimento
massiccio del legno più prezioso. In questi processi mi
è stato quasi impossibile difendermi per spostamenti e
manovre: date improvvisamente cambiate, documenti spariti. Spero
che la normalità torni nelle aule giudiziarie incaricate
di valutare gli eterni problemi della foresta più grande
del mondo. Ma tornerà solo quando un personaggio potrà
finalmente entrare in questa storia scabrosa. L'opinione
pubblica, e non solo brasiliana perché l'Amazzonia
appartiene a tutti.
Lucio
Flavio Pinto L'Unità - 09/08/2004
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