Rabbia.
Orgoglio. Riconoscenza. E poi quellaggettivo: incredibile.
Le parole di chi dirige un servizio segreto, per tradizione e
buon senso non sono mai pubbliche. Persino i sentimenti,
nellaneddotica del cosiddetto Circo delle Spie, vanno
rigorosamente nascosti. Qualche anno fa, il capo dellMI6
britannico, fece montare una tenda sulla porta della chiesa in
cui si teneva la funzione per ricordare un collega scomparso.
Nessuno
avrebbe dovuto testimoniare della commozione e delle lacrime. Tra
agenti segreti usa così. Ma ieri è accaduto
qualcosa di diverso. Il generale Nicolò Pollari, Direttore
del Sismi, capo di Nicola Calipari, non si è nascosto, non
ha scelto la via della discrezione, si è schierato in
prima fila accanto a Rosa Calipari e ai suoi due figli, e ha
detto ciò che provava. Nella basilica di Santa Maria degli
Angeli, in quel silenzio pesante e stupefatto, dove nessuno dei
presenti, a cominciare dal Capo dello Stato, era riuscito ancora
a digerire i fatti, Pollari ha espresso pubblicamente con le
parole la propria rabbia e quella di tutti i suoi uomini,
definendo con un aggettivo preciso il senso della breve
telefonata con cui venerdì sera lo informavano di quella
sparatoria ingiustificata, inconcepibile e inaccettabile.
Incredibile, appunto.
Il
ruolo dell'Italia nel teatro di guerra iracheno ci vede alleati
della coalizione anglo-americana ma, sulla carta, con compiti di
pace. E nello stesso tempo associa indistintamente la nostra
bandiera a quella dei belligeranti. Un'ambiguità che
paghiamo nella definizione delle regole d'ingaggio, che
consentono l'uso delle armi con una serie di limitazioni. E se è
così per la struttura militare in divisa che opera a
Nassiriya, figuriamoci a quali slalom è costretta la
struttura d'intelligence. E a quali frizioni. Nel rapporto dei
nostri agenti con i colleghi americani, ad esempio. Dove la
questione che si pone non è soltanto quella della
condivisione delle informazioni raccolte (il Sismi
rispetta ovviamente la scelta di campo e le nostre allenze
internazionali), ma degli obiettivi da raggiungere e del come
raggiungerli.
Ancora
le parole. Messa di fronte alla questione dei sequestri, la
politica ha dovuto esprimersi con una formula fumosa dove la
linea della fermezza e del non si tratta
faceva inevitabilmente a pugni con l'aspetto umanitario di ogni
singolo caso. Da una parte la rigidità formale, dall'altra
il lavoro sottotraccia dei servizi. Qualcuno potrà anche
chiamarlo lavoro sporco, ma è un fatto che
dalla strage di Nassiriya del 12 novembre 2003 a oggi, il Sismi
ha riportato a casa sei ostaggi italiani su otto e, anche se
ufficialmente non si può dire, ha collaborato - in varie
fasi - alla soluzione positiva del sequestro dei due giornalisti
francesi George Malbrunot e Christian Chesnot, del console
iraniano a Baghdad, Fereidoun Jahani e del cittadino britannico
Gary Teeley. Nella vicenda tragica del rapimento di Enzo Baldoni
gli uomini della Divisione Operazioni Internazionali guidata da
Nicola Calipari erano addirittura riusciti a fotografare in
anticipo la nuova prigione in cui i rapitori stavano portando
l'ostaggio e un canale si poteva aprire, se qualcosa di tuttora
incomprensibile non avesse poi fatto precipitare la situazione
durante il trasferimento.
Per
essere realistici, il problema non riguarda il rispetto della
cosiddetta linea della fermezza nella soluzione dei sequestri.
Non è una furbesca linea all'italiana che va
messa in discussione, bravi loro cattivi noi. Il problema è
l'agibilità del territorio, l'abilità nel creare
contatti, la difficoltà di mantenere in piedi una rete di
informatori e mediatori come quella che il Sismi ha creato in
Iraq ma anche in Afghanistan e Pakistan. In definitiva, la
capacità di muoversi e dialogare, prima ancora di tentare
di risolvere. Tutto questo nel lavoro d'intelligence si definisce
con il termine Humint (human intelligence), contrapposto alla
cosiddetta Techint (technologic intelligence). Su questo piano,
gli americani pagano il prezzo di un'antica ossessione
tecnologica (vedi l'11 Settembre) e, in Iraq, un isolamento e una
diffidenza sul territorio e tra la popolazione che non è
possibile rimpiazzare con muscoli e satelliti. Su questo stesso
piano, il Sismi per cui lavorava Nicola Calipari ha invece
ottenuto risultati che a qualcuno hanno fatto storcere il naso ma
altri hanno invece riconosciuto (per l'aiuto dato nella soluzione
del doppio rapimento Malbrunot-Chesnot, il capo dei servizi
francesi ha messo la propria riconoscenza nero su bianco).
Infine,
la questione dei soldi. Prove non ci sono, conferme nemmeno.
Tuttavia è ragionevole immaginare che ai vari
sequestratori siano state consegnate somme di denaro (e altro) in
cambio degli ostaggi. Ma pensare che il terrorismo in Iraq
(ancora oggi uno sterminato deposito di armi ed esplosivo in gran
parte acquistati coi soldi dell'Occidente, anche i nostri), si
mantenga e prolifichi grazie ai riscatti pagati dall'Italia, è
un po' riduttivo. Sicuro che non hanno mai pagato i francesi? E
gli inglesi, che nonostante il ruolo paritario di invasori con
gli americani e il quintuplo degli uomini italiani sul campo
hanno avuto meno attentati e sequestri di tutti, come fanno a
cavarsela dalle parti di Bassora? E gli americani? Sicuro che se
ne avessero la possibilità non si metterebbero la mano in
tasca? Non se la sono mai messa? Non hanno mai trattato o cercato
di trattare per un sequestro, né prima né adesso?
Questo non giustifica nulla, certo. Però se la questione è
pelosa, è pelosa per tutti.
Dunque,
se un'auto con a bordo un ostaggio appena liberato e tre agenti
del Sismi (armati e provvisti di badge rilasciati dalla
coalizione) si sta dirigendo verso l'aeroporto di Baghdad,
sull'unica strada possibile (costellata di check-point della
coalizione) e su una piazzola dell'aeroporto (nel pieno controllo
delle forze della coalizione) c'è un aereo con le insegne
della Repubblica italiana (atterrato con una regolare
autorizzazione delle forze della coalizione) che attende di
imbarcare quelle quattro persone per riportarle in Italia, se i
soldati americani sono informati del passaggio di un'auto
dell'ambasciata e adesso fanno addirittura sapere che
erano lì per proteggerla, poi tutto finisce
come è finita, con una raffica infinita di pallottole
sparate dai militari della coalizione, con un morto e tre feriti,
la domanda è: possibile che a sbagliare sia stato solo
Nicola Calipari? Possibile che abbia commesso un errore laddove
in altri sei casi su otto aveva fatto girare alla perfezione la
complessa macchina della mediazione e del rilascio? Possibile.
Oppure, di fronte a questa tragedia, ha ragione il generale
Pollari a indignarsi con rabbia perché chiudere la
faccenda con questa risposta semplicistica sarebbe appunto
incredibile.
Andrea Purgatori
L'UNITA' 08/03/2005
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