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Un futuro da Blade Runner |
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Come la maggior parte dei cittadini italiani, anche di media cultura e di buona volontà, so poco degli equilibri ambientali, dei rischi d'un ecosistema violentato, del degrado da sovraffollamento del pianeta, da inquinamento industriale, da irresponsabilità politica. La generazione cui appartengo, figlia del boom demografico, del miracolo economico, del nuovo benessere d'un paese democratico e in pace, mi ha condizionata a fare più attenzione alle sperequazioni interne all'Occidente industrializzato, alla lotta di classe, al diritto al lavoro. Ho scoperto, anzi, per la precisione, sono caduta dal pero che il dramma si stava spostando altrove, sullo stato del mondo, sulla sua incerta salute, sulle masse di poveri che cercano uno sbocco, un pezzo di pane, una via di fuga, un po' di stabilità, litigando coi miei figli, istintivamente incapaci di considerare la politica come un sistema chiuso, nazionale, per aggiustare i conti in casa. Li ho ascoltati mentre mi spiegavano il senso di impermanenza, di assenza di futuro, che fa dei ventenni di oggi, dei precoci vecchi, allegri più per disperazione che per progettualità. Siete buffi voi, mi ha detto mio figlio, giocate a bazzica su un campo minato e vi scaldate anche per vedere chi vincerà. Ma non lo capite che il futuro non esiste?. Certo, alla sua età, si nutre una vera e propria passione per le iperboli, però...e se avesse ragione? Quest'estate speciale, così percorsa da sfuriate autunno-inverno, fa pensare. Fanno pensare queste città inghiottite dai fiumi nei mesi del bello stabile, la Cina come Dresda, il Bresciano martirizzato quanto la Puglia. Non si tratta soltanto del celebre adagio Se non c'è più la mezza stagione, la colpa di certo è dell'opposizione. Qui non ci sono più neanche le stagioni intere. Sul mondo si stende una coltre di caldo-umido, si riversa una fanghiglia telegenica ma sgradevole al tatto, si abbattono grandinate funeste, senza ordine di cappotti e canottiere, senza turn over fra pomodori e cavolfiori, in una monotonia del rischio e del degrado che ricorda più Blade Runner che Vivaldi. Vaclav Havel, che, benché presidente della Repubblica, è pur sempre uno scrittore, cioè uno abituato a fare attenzione, ha detto: Dobbiamo rivedere le nostre esigenze, ridurre certe pretese. Si è detto dispiaciuto di non essere a Johannesburg, ed è l'unico assente giustificato dato il disastro che si è abbattuto su Praga. Gli altri che fanno? Che dicono? Berlusconi si è esibito in alcuni passi di danza: vado? Non vado? Faccio più bella figura se vado e dico che va tutto bene, ghe pensi mi, e su con la vita che diamine! O faccio più bella figura se non vado perché io ci ho da fare moca posso andare dove si discute sulle sorti del mondo? Andrà, pare, ma si fermerà poco, il tempo di mostrare al Paesi poveri il suo sorriso da tigre. Come tutti i piccolo borghesi, si muove copiando chi è più forte di lui. Bush, in questo caso, il quale, per non farsi coinvolgere dalle responsabilità insite nel suo ruolo di più ricco dei ricchi, ha pensato bene di restare a casa, a organizzare la paura degli americani con tutto il suo babau islamico, così poi gli appoggiano la guerra contro Saddam. E il mondo, fra armi chimiche e atomiche, accelera in direzione del disastro. Lidia Ravera L'UNITA' 29/08/2002 |
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