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La mano nella tasca |
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E' un po' di tempo che non la scrivo, caro Presidente, anche se la penso spesso, incantata dalla sua vitalità, dalla fantasia trasgressiva che contrappone alle vecchie muffose regole del vivere civile, dalle monellerie che, con i suoi sodali (tutti inferiori a Lei per personalità e reddito) mette in scena quando si tratta di sottrarre a qualche castigo sé stesso e i suoi avvocati. La penso, Le assicuro, con tutta la mia attenzione di scrittrice, accendo spesso un cero davanti all'effigie del signor Balzac, che mi dia la forza di infilarla in un romanzo, magari più avanti, quando Lei sarà in pensione e io all'ospizio, e tutte le passioni saranno spente e non rischierò di ingorgare la pagina con la retorica dell'indignazione civile. Torniamo, quindi, per ora, alla prospettiva epistolare: le scriverò tutte le volte che la mia ammirazione stupefatta subirà un'impennata, di quelle che che, per congestione dell'anima, provocano discromie nell'incarnato...quali le stigmate dell'innamoramento...le scriverò tutte le volte che arrossisco per Lei, Presidente. Mi eccita quel suo piglio populista, le immagini sensuali che alludono alla maschia penetrazione nelle tenere carni dell'elettorato: Non metterò le mani nelle tasche degli italiani. Non è forse la tasca una vulva simbolica? E la mano (fallica) timida si ritrae. Anzi, restituisce. Che tempismo, Presidente! L'avevo sottovalutata. Pensavo che Lei non avesse capito l'importanza di quel milione di persone in piazza, quel plotone di italiani per bene battezzati col nome d'un gioco da bambini, i girotondini, che contestavano il suo governo con toni e ragioni tali da erodere il consenso di cui ha goduto presso altri italiani per bene, un po' più ingenui. Pensavo che Lei, Dio mi perdoni, fosse accecato e addormentato dal potere, intontito dalla melassa di cui la spalmano i suoi servitorelli, invece no, mi sbagliavo. Lei è vigile. Ben sveglio e reattivo. Altroché. Lei si è preoccupato e allarmato il giusto. E che cosa ha fatto? Uno dei suoi coup de theatre, quelli per cui, a esserle, come me, nemici, si finisce per divertirsi. Ha detto, da bravo illusionista, quella che, in Italia, è la frase magica: abbasserò le tasse. A chi? Ai redditi sopra i 150 milioni di vecchie lire, come aveva promesso a suo tempo? No, non in questo momento delicato, in questo momento delicato bisogna gratificare la maggioranza, cioè i più poveri. Le apparsa in sogno l'anima di Peròn? Se poi la gratificazione ammonta, come per il lavoratore dipendente con coniuge e due figli a carico e con un reddito di 12.500 euro all'anno, a un risparmio di 5 euro virgola 25 al mese (diecimila vecchie lire, non una cifra che ti cambia la vita), non importa, la frase magica è stata detta. Non metterò le mani in tasca agli italiani e... e se ce la metto, è per infilare, con il migliore dei miei sorrisi da squalo, una bella mancetta. Lidia Ravera L'UNITA' 03/10/2002 |
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